Non è facile descrivere la mafia lontano dall’Italia, soprattutto a chi non ne ha mai sentito parlare davvero. Pif, regista noto per il film “La mafia uccide solo d’estate”, ha affrontato questa sfida durante una masterclass al Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo, nell’ambito dell’ottava edizione del Filming Italy Sardegna Festival. Partendo dalla necessità di raccontare la criminalità organizzata a un pubblico come quello danese, il regista ha toccato anche temi più ampi che riguardano la democrazia in tempi di conflitti e la distinzione spesso forzata tra cultura “alta” e “bassa”.
Raccontare la mafia oltre gli stereotipi hollywoodiani
Pif ha spiegato subito il punto di partenza della sua esperienza: spesso chi guarda film o serie sulla mafia vede un’immagine edulcorata, persino divertente, che non riflette il peso reale e drammatico di questa realtà. Hollywood ha costruito intorno alla mafia un’immagine “cool”, piena di fascino, che però rischia di sviare dalla vera natura della criminalità organizzata. Il regista voleva invece rivolgersi a chi non sa nulla o quasi, come i danesi, per restituire un quadro più fedele della situazione.
Questa scelta fa capire quanto sia difficile riportare storie così radicate in un contesto culturale lontano e differente. Pif ha sottolineato la responsabilità di raccontare con attenzione e verità, senza cadere nella spettacolarizzazione superficiale. In effetti, la mafie non sono un semplice prodotto cinematografico, ma un fenomeno che ha inciso profondamente sulla vita quotidiana di molte persone e territori.
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Durante la masterclass, ha anche evidenziato come il cinema possa essere uno strumento per far comprendere il fenomeno mafioso a un pubblico internazionale, rompendo barriere culturali e linguaggi diversi. Questo impegno va oltre l’intrattenimento, mira a costruire consapevolezza e attenzione su quello che succede davvero nelle zone colpite dalla mafia.
L’evoluzione della democrazia e il ritorno delle tensioni internazionali
Il discorso si è poi spostato verso un’analisi di contesto molto attuale. Pif ha riflettuto sull’idea che molti della sua generazione avevano sulla democrazia: un sistema scontato, stabile, che non sarebbe mai stato messo in discussione su larga scala. Il recente ritorno dei conflitti armati in Europa ha smontato questa convinzione.
Ha citato la guerra tra due nazioni del continente come una realtà che nessuno si aspettava più dopo la caduta del Muro di Berlino. Questa situazione ha fatto vedere con chiarezza quanto la pace possa essere fragile. In parallelo, ha menzionato gli Stati Uniti, dove, secondo lui, si sta assistendo alla nascita di un regime mascherato da protesta popolare ma con metodi rigorosi e violenti. Ha raccontato di un anziano ultrottantenne, con problemi di mobilità, che è stato arrestato durante una manifestazione, una scena che ha sottolineato per mostrare la gravità delle tensioni interne americane.
Il punto toccato da Pif riguarda la fragilità dei sistemi democratici, che sembravano consolidati, e la crescita di nuove forme di autoritarismo anche in quelli che erano considerati paesi modello. Questi fatti invitano a riflettere sulle libertà civili, sulla repressione e sulle modalità di protesta nel contesto globale.
Cultura alta e bassa: la differenza è sempre netta?
All’interno dello stesso incontro Pif ha affrontato poi il tema della distinzione fra cultura “alta” e “bassa”, una divisione spesso rigida ma poco utile. Ha espresso il parere che la verità sta nella trasparenza del proprio progetto artistico. Chi fa un prodotto destinato a un pubblico limitato e più “colto” sa di non poter ambire a grande popolarità, mentre chi si rivolge al grande pubblico deve accettare che non sarà sempre considerato un “autore” di punta dalla critica.
Pif ha mostrato simpatia per quei momenti dove i due mondi si incontrano, come nella tradizione della commedia all’italiana. Questo genere ha saputo mischiare elementi di denuncia e riflessione con un tono spesso divertente e accessibile a tutti. Per lui, questo incrocio crea storie capaci di comunicare messaggi importanti senza perdere la dimensione popolare.
Il valore dell’arte e del cinema nella società
Questa discussione apre un confronto sulla funzione dell’arte e del cinema nella società. Può l’intrattenimento avere un ruolo più profondo? La risposta, nel caso di Pif, è sì, purché non ci si nasconda dietro distinazioni troppo rigide. Il valore di un lavoro dipende dalla sua capacità di comunicare, al di là delle etichette.
L’incontro con il regista al Centro Sperimentale di Cinematografia si è rivelato una riflessione ampia su temi che intrecciano cronaca, cultura e società. Il suo approccio diretto e il dialogo con il pubblico confermano la voglia di raccontare storie significative, lontane da facili stereotipi e riempite di concretezza.