La viticoltura siciliana segna un momento significativo con l’inserimento dell’orisi nel disciplinare terre siciliane IGT. Dopo anni di lavoro per recuperare questo vitigno autoctono, Santa Tresa ottiene il riconoscimento ufficiale che consente di indicarne il nome in etichetta. Il cambiamento rappresenta una vittoria per la tenuta di Vittoria e per la salvaguardia della biodiversità viticola in Sicilia.
La riscoperta dell’orisi, un vitigno autoctono dimenticato siciliano
L’orisi è un vitigno nato da un incrocio spontaneo tra sangiovese e montonico bianco. Sopravviveva in esemplari isolati nei Nebrodi e fino a pochi anni fa era praticamente sparito dal panorama vitivinicolo. Il recupero serio è iniziato nel 2003 all’interno di un piano regionale dedicato alla valorizzazione dei vitigni siciliani. Santa Tresa è stata una protagonista di questo progetto, lavorando con il vivaio regionale Federico Paulsen di Marsala per reimpiantare la varietà.
Non a caso, fino a poco tempo fa il vino prodotto con l’orisi poteva inserire solo una “O” nell’etichetta, un accenno del vitigno senza il riconoscimento formale del nome. Questo limite veniva imposto dall’assenza dell’orisi nell’elenco delle varietà ammesse. La recente modifica del disciplinare terre siciliane IGT ha finalmente consentito di superare questa barriera.
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Un centro di biodiversità e sperimentazione: il campo sperimentale di santa tresa
Santa Tresa ha un vigneto sperimentale di 5.600 m² a Vittoria, che ospita 2.830 piante e comprende 18 vitigni diversi con circa 31 fenotipi. Qui si studia come il clima, il terreno e la pianta interagiscono, per trovare combinazioni adatte a una viticoltura sostenibile. L’orisi fa parte di questo progetto come vitigno reliquia in fase di rilancio, proprio per proteggerne la conservazione genetica e verificarne la capacità di adattarsi alle condizioni locali.
Dal piccolo nucleo iniziale di 16 piante di orisi sono stati sviluppati 1.523 ceppi, coltivati a spalliera su terreni franco sabbiosi sopra strati di calcarenite. Questo genere di suolo ha proprietà minerali che possono influenzare positivamente la crescita e qualità del vitigno. La densità e varietà di piante rendono il campo un laboratorio vivo per studiare tecniche agronomiche e risposte della vite a vari stimoli ambientali.
La vinificazione dell’orisi santa tresa tra metodo e tradizione
La produzione del vino orisi di Santa Tresa segue un processo ben definito. La vendemmia avviene manualmente a settembre per selezionare i grappoli migliori. Il mosto viene raffreddato subito dopo la pigiatura per mantenere freschezza. La fermentazione si svolge in botti di rovere di Slavonia, legno noto per il suo impatto delicato sul gusto, e si protrae con l’affinamento sulle bucce fino all’anno successivo. Solo dopo avviene un ulteriore riposo in acciaio di circa 4-5 mesi prima dell’imbottigliamento.
Questo metodo unisce passaggi tradizionali a pratiche attente alla qualità e alla conservazione dei aromi. La cura anche nelle micro-vinificazioni ha permesso di valorizzare l’orisi, portandolo al centro di un progetto che guarda alla sostenibilità senza rinunciare a radici e storia.
Santa tresa e il rispetto per la natura nella viticoltura biologica
La tenuta Santa Tresa, con 50 ettari complessivi e 39 ettari dedicati alla coltivazione della vite, predilige metodi biologici per il suo lavoro agricolo. Il recupero dell’orisi rientra in un contesto più ampio di attenzione alla biodiversità e salvaguardia degli antichi vitigni siciliani.
Il progetto di Santa Tresa dimostra che tradizione e innovazione possono andare d’accordo, permettendo di mantenere viva la memoria dei vitigni dimenticati e al tempo stesso offrendo un prodotto che rispetta la terra e risponde a criteri di qualità moderna. L’impegno della famiglia Girelli, che guida la tenuta, è un esempio concreto di come la viticoltura biologica possa concretizzarsi nel territorio, valorizzandone le peculiarità e la sostenibilità.