L’attività investigativa avviata nella scorsa estate ad aprilia e culminata con lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose si arricchisce oggi di un nuovo capitolo con nove arresti disposti nei confronti di persone è già coinvolte nella stessa operazione. La nuova accusa riguarda un’estorsione aggravata da metodo mafioso che ha colpito un imprenditore di pomezia, costretto con minacce e violenze a cedere proprietà immobiliari e firmare contratti di sponsorizzazione onerosi.
L’escalation di minacce e pressioni contro un imprenditore di pomezia
L’imprenditore preso di mira ha subito una serie di minacce e aggressioni che gli hanno imposto la cessione di tre appartamenti. Questi immobili sono stati sottratti con la forza, mentre parallelamente l’uomo è stato obbligato a stipulare due contratti di sponsorizzazione per le somme complessive di 400mila euro. Le sponsorizzazioni riguardavano due squadre sportive, una di calcio e l’altra di basket, evidenziando come il ricatto non si sia limitato a un’estorsione patrimoniale tradizionale, ma abbia avuto anche ripercussioni sui circuiti locali.
L’indagine ha rivelato il peso delle intimidazioni nella vicenda. Le azioni non si sono limitate a minacce verbali, ma si sono tradotte anche in aggressioni fisiche. La costrizione all’accettazione delle condizioni estorsive ha coinvolto più soggetti e messo in ginocchio la vittima sul piano personale e professionale, facendo emergere la pericolosità del metodo mafioso applicato.
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Un ruolo ambivalente tra gli imprenditori dell’agro pontino
Un particolare elemento emerso dall’inchiesta riguarda la presenza di un altro imprenditore, residente nell’area dell’agro pontino, che è risultato parte attiva nel meccanismo estorsivo. Questo soggetto, apparentemente vicino alla vittima, si era presentato come mediatore, con il pretesto di porre fine alle intimidazioni e agli attacchi raccontando una volontà di pacificazione. Tuttavia, dietro questa facciata, ha esercitato pressioni ulteriori, costringendo il primo imprenditore a firmare due contratti di sponsorizzazione per altri 100mila euro.
Questo comportamento ha aggiunto un livello di complessità all’indagine, mostrando come il sistema mafioso si avvalga anche di figure all’interno della stessa categoria professionale delle vittime. La capacità di manipolare la fiducia e incutere paura tra pari ha permesso la crescita del racket, facendo intuire un intreccio affaristico e intimidatorio che ha coinvolto più territori limitrofi.
Alleanze tra gruppi criminali di origine siciliana e romana
L’indagine ha messo in luce come la vittima fosse al centro di un conflitto tra due gruppi criminali formalmente avversari ma in realtà alleati. Il primo gruppo, con radici nelle cosche siciliane, si è offerto come “protettore” dopo le minacce subite dalla vittima, provenienti dal secondo gruppo, riconducibile alla malavita di roma.
Questa alleanza ha sfatato l’immagine tradizionale di rivalità netta tra clan, svelando un accordo sottotraccia finalizzato a spartirsi i proventi delle estorsioni e mantenere il controllo sul territorio e sugli affari illeciti. La strategia comune ha previsto un gioco al massacro nei confronti dell’imprenditore costretto a sottostare a richieste economiche pesanti, con il sostegno mascherato delle cosche e la violenza diretta applicata dalle gang romane.
Il ruolo della dia nell’indagine
Gli agenti della DIA hanno seguito l’intera catena di passaggi, dagli arresti estivi fino alle nuove misure cautelari di oggi, confermando un sistema criminale radicato e dalle molte ramificazioni, mai completamente visibile fino a questa indagine. I risultati raggiunti mostrano come il contrasto alla criminalità organizzata richieda un lavoro incessante sulle realtà locali, dove le mafie si inseriscono con metodi subdoli e spietati.