La città di Ivrea si prepara a un processo significativo che avrà inizio il prossimo 24 aprile 2025, riguardante l’omicidio di Khalid Lakhrouti, un evento drammatico che ha colpito la comunità locale. Il caso coinvolge il fratello, la moglie e lo zio della vittima, tutti accusati di omicidio volontario. Questa vicenda solleva interrogativi non solo sulla legalità delle pratiche religiose estreme, ma anche sulla gestione della salute mentale nel contesto familiare e sociale.
Il contesto del processo
Il processo scaturisce da un complesso intreccio di eventi che si sono svolti il 10 febbraio 2024, quando Khalid Lakhrouti è morto nella propria abitazione a Salassa durante un rito di esorcismo. L’udienza preliminare, tenutasi il 26 febbraio, ha confermato le imputazioni contro i familiari, evidenziando un contesto familiare complesso e drammatico. Abdelrahman Lakhrouti, zio della vittima e Imam della comunità islamica di Cuorgné, è accusato di aver trascinato il nipote in una serie di rituali esorcistici, con l’ausilio del fratello Nourddine, e la presenza della moglie Sara Kramiz, che ha dovuto affrontare gravi accuse in quanto complice del marito.
La decisione di rinviare a giudizio tutti gli imputati è stata presa dopo approfondite indagini condotte dagli inquirenti, volti a ricostruire la sequenza di eventi che hanno portato alla morte di Khalid. Le indagini hanno rivelato come la vulnerabilità psicologica della vittima e l’uso di sostanze stupefacenti abbiano contribuito a un tragico epilogo.
I rituali esorcistici e il ruolo della famiglia
Khalid Lakhrouti, la cui attitudine e comportamento avevano destato preoccupazione tra i familiari, era convinto di essere posseduto da un’entità maligna. Per questo motivo, la famiglia aveva deciso di rivolgersi all’Islam per trovare aiuto. Gli inquirenti hanno ricostruito che lo zio, avvalendosi di pratiche esorcistiche tradizionali, recitava l’Ayat Al Kursi, una preghiera considerata potente nella cultura islamica. Durante il rito, Khalid era immobilizzato, portato a una condizione di vulnerabilità , sfruttando le sue fragilità per giustificare comportamenti violenti da parte degli adulti coinvolti.
Khalid aveva già subito diversi esorcismi nei mesi precedenti, ma il dramma si è consumato nella serata del 10 febbraio, quando ha avuto una crisi violenta. La sua immobilizzazione forzata da parte dei familiari ha avuto esiti devastanti; gli autori della custodia forzata hanno usato metodi e pratiche che hanno portato a risultati tragici.
Le indagini e i dettagli della morte
Le indagini condotte dai Carabinieri hanno rivelato una verità agghiacciante sulla morte di Khalid. Durante l’ultimo esorcismo, la vittima è stata legata e soffocata, un evento che ha suscitato grande scalpore. L’autopsia ha stabilito che la causa del decesso è stata asfissia, aggravata da un ingestione accidentale di un corpo estraneo. I dettagli emersi dall’analisi forense sono stati chiari e inequivocabili: Khalid era già in condizioni critiche prima che la chiamata d’emergenza fosse effettuata.
La tempestività dell’intervento del 118 è stata messa in dubbio. La chiamata alle autorità è pervenuta con grande ritardo, portando gli investigatori a supporre che i familiari tentassero di dissimulare le circostanze del decesso. Un evento triste, che getta luce sulla mancanza di interventi efficaci prima della tragedia e sulle frequenti chiamate ai servizi di emergenza precedenti nel mese di gennaio.
Riflessioni sulle pratiche religiose e la salute mentale
Il caso di Khalid Lakhrouti ha sollevato domande importanti sul confine tra fede e violenza, oltre alla discussione necessaria riguardo le pratiche religiose estreme che, in contesti particolari, possono travolgere la vita delle persone. La situazione tossica che ha portato alla morte di Khalid è emblematica della vulnerabilità di individui affetti da problemi psichici in situazioni di isolamento familiare e sociale.
Il processo di Ivrea sarà l’occasione per approfondire queste tematiche e riflettere su come migliorare la sensibilizzazione verso la salute mentale, affinché tragedie simili non si ripetano nel futuro. Le decisioni della giustizia dovranno considerare non solo l’omicidio in quanto crimine, ma anche il contesto culturale e sociale in cui è avvenuto.
L’attesa per il processo, quindi, si intreccia con interrogativi fondamentali: come è possibile che nel 2024, pratiche religiose possano portare a eventi così drammatici? La speranza è che la giustizia porti chiarezza e che la comunità trovi modi per affrontare il dialogo sui temi della salute mentale e delle pratiche religiose, al fine di prevenire futuri eventi tragici.