Negli ultimi dieci anni, una lavoratrice di 43 anni impiegata in un’impresa metalmeccanica della provincia di Pesaro Urbino ha subito oltre cinquanta proroghe di contratto a termine. Solo negli ultimi cinque anni, ben trentacinque contratti a tempo determinato sono stati rinnovati dalla stessa azienda. Dopo un lungo contenzioso legale, il Tribunale del Lavoro di Pesaro e la Corte d’appello di Ancona hanno stabilito che la lavoratrice deve essere stabilizzata e riconosciuta con un risarcimento di dieci mensilità basate sull’ultima retribuzione percepita. Il caso, seguito dalla Uil Marche, mette in evidenza l’abuso del ricorso ai contratti a termine in contesti lavorativi della zona.
Il contenzioso tra la lavoratrice e l’azienda a pesaro urbino
La lavoratrice ha iniziato a lavorare nell’impresa metalmeccanica nel 2004, entrando in un ciclo continuativo di contratti a tempo determinato, prolungati tramite riassunzioni ripetute senza soluzione di continuità. Nel corso di dieci anni, ha sottoscritto più di cinquanta proroghe contrattuali, di cui trentacinque nell’arco degli ultimi cinque. Questo fenomeno si è trasformato in una pratica abituale per l’azienda, che ha evitato di offrire un contratto a tempo indeterminato.
Paolo Rossini, segretario generale della Uilm di Pesaro Urbino, ha commentato duramente il comportamento dell’azienda, paragonando la situazione a una forma moderna di sfruttamento. La Uil Marche ha fornito assistenza legale alla lavoratrice, affidandosi all’avvocato Alessandra Khadem per sostenere la causa. Il Tribunale del Lavoro di Pesaro ha emesso una sentenza favorevole, confermata poi in appello ad Ancona, che ha condannato l’impresa a stabilizzare la dipendente e a corrisponderle un risarcimento economico.
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Le motivazioni del giudice contro l’abuso dei contratti a termine
Nel giudizio, l’azienda aveva cercato di giustificare l’uso massiccio dei contratti a tempo determinato richiamando l’andamento altalenante degli ordinativi di produzione. I giudici, però, hanno ritenuto che queste ragioni non fossero sufficienti a giustificare oltre cinquanta proroghe in dieci anni. Secondo la sentenza, questa pratica costituisce un vero e proprio abuso, non riconducibile a circostanze eccezionali o di particolare criticità aziendale.
L’avvocato Khadem ha spiegato come molti di questi contratti si basassero su formule definite “contratti di prossimità”, utilizzate dall’impresa per rinnovare i rapporti senza assunzioni stabili. Questi contratti, secondo quanto indicato nel verdetto, violavano la direttiva europea che disciplina il lavoro precario. La nullità di tali contratti ha rappresentato un elemento cruciale per il pronunciamento sfavorevole all’azienda. La sentenza impone anche all’impresa il pagamento delle spese di lite per entrambi i gradi di giudizio.
Le ripercussioni sul diritto del lavoro e la posizione dei sindacati nelle marche
Questo caso ha alimentato il dibattito sul ruolo dei contratti a termine nelle Marche e il loro utilizzo improprio in diverse realtà produttive. La Uil Marche, attraverso la segretaria generale Claudia Mazzucchelli, ha sottolineato l’importanza di far valere i diritti dei lavoratori. Il sindacato ha evidenziato come simili sentenze rafforzino l’esigenza di garantire stabilità e tutele reali a chi lavora da anni in condizioni di precarietà.
La vicenda dimostra anche l’intervento della giustizia sul rispetto delle normative europee in materia di lavoro, soprattutto per le imprese che adottano prassi che ledono i diritti fondamentali. Questi precedenti potrebbero creare un’onda di richieste da parte di altri lavoratori coinvolti in situazioni analoghe e porre un freno alle aziende che abusano dei contratti a termine. In un contesto produttivo come quello della provincia di Pesaro Urbino, dove molte realtà industriali hanno storicamente fatto ricorso al lavoro temporaneo, questa sentenza si configura come un invito a rispettare modelli contrattuali più corretti.