L’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert ha voluto chiarire che la situazione a Gaza appare destinata a proseguire nel dramma se non si trova un accordo politico basato sull’esistenza di due stati indipendenti. Intervistato dai media vaticani, ha sottolineato che la continuazione del conflitto porta inevitabilmente alla morte di soldati israeliani, ostaggi e civili palestinesi. A suo parere, fermare la guerra e ottenere la liberazione degli ostaggi sono le condizioni inderogabili per sperare in una tregua duratura e in pace.
Il quadro attuale della guerra a gaza secondo olmert
Ehud Olmert ha definito l’attuale conduzione della guerra a Gaza da parte del governo israeliano di Benjamin Netanyahu una strategia priva di un vero piano per salvare gli ostaggi. Ha accusato apertamente l’esecutivo di commettere crimini nell’ambito dell’operazione militare, anche se ha evitato di utilizzare la definizione legale di “crimini di guerra” per mancanza di elementi completi. Secondo lui, le azioni in corso non solo non salvano le persone sequestrate, ma portano inevitabilmente a nuove perdite di vite tra militari israeliani, ostaggi nelle mani di Hamas e civili palestinesi. Questo disastro umanitario rende, agli occhi di Olmert, la guerra stessa un crimine.
Tensioni in cisgiordania
L’ex premier ha poi portato l’attenzione sulle tensioni in Cisgiordania, dove violenze perpetrate da coloni israeliani contro palestinesi si susseguono senza interventi efficaci da parte di polizia o esercito. Questa dinamica contribuisce a un’escalation regionale che rischia di aggravare ulteriormente la situazione di insicurezza.
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Olmert ha espresso preoccupazione per il vuoto politico e per l’assenza di un percorso chiaro da seguire, tanto a Gaza quanto nelle aree circostanti, col rischio di rendere sempre più lontano ogni possibile compromesso.
Le proposte di tregua e la liberazione degli ostaggi
Nel momento delicato dei negoziati internazionali, Olmert crede che soltanto la mediazione di paesi come Egitto, Qatar e Stati Uniti può facilitare un accordo concreto. La sua idea chiave è che la fine della guerra a Gaza debba arrivare insieme alla liberazione di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas.
Ha spiegato che il movimento palestinese non è disposto a concordare alcun “cessate il fuoco” temporaneo senza la garanzia della conclusiva fine delle ostilità. Hamas considera infatti gli ostaggi come l’unico vero strumento di pressione rimasto e non cederà senza ottenere questo risultato. In questo senso, Olmert dice chiaramente che proseguire la guerra senza tale impegno significa solo prolungare la sofferenza senza prospettive di soluzione.
Questa posizione non implica arrendersi alle richieste di Hamas, anzi sancisce la necessità di riconoscere una realtà: per ottenere gli ostaggi bisogna dichiarare la riconciliazione attraverso l’interruzione totale della guerra. Le difficoltà e i rischi di questo percorso sono chiari, ma allo stato attuale non esistono alternative credibili.
Le tensioni tra il governo israeliano e l’amministrazione americana
Rispetto alle relazioni tra il governo di Netanyahu e l’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump, Olmert ha osservato una situazione complessa e incerta. Trump resta un politico imprevedibile e questo, ha detto, rende impossibile appoggiarsi a modelli di rapporti consolidati fra israeliani e americani.
Posizioni divergenti su iran e rapporti nel golfo
Secondo Olmert, gli ultimi sviluppi mostrano come Trump stia assumendo posizioni più dure nei confronti di Netanyahu, quasi come se fosse quest’ultimo a dover rispondere alle esigenze americane, non viceversa. Le differenze sulle strategie verso l’Iran, così come i viaggi recenti di Trump nel Golfo, attestano questa divergenza. Incontri con rappresentanti di Arabia Saudita, Qatar, Emirates e anche con il nuovo presidente siriano Al Sharaa sembrano testimoniare una nuova politica americana che non segue le linee di Netanyahu.
Questa frattura apparente potrebbe influire sugli sviluppi futuri della gestione del conflitto israelo-palestinese e sui rapporti diplomatici fra i due paesi.
Le critiche interne e il possibile cambiamento politico in israele
In Israele, la guerra a Gaza ha ormai esausto una fetta consistente della società e soprattutto molti soldati riservisti. Le proteste contro Netanyahu si moltiplicano e sembrano rappresentare un segnale chiaro di insoddisfazione verso la strategia governativa.
Olmert ha detto di condividere questo malcontento diffuso, soprattutto perché manca un progetto politico ben chiaro. Cosa voglia fare Israele dopo aver eventualmente sconfitto o allontanato i capi di Hamas resta un mistero. I palestinesi continuano ad essere più di cinque milioni e mezzo sul territorio e non è pensabile pensare a una soluzione che passi solo attraverso la repressione o la perdita delle loro terre.
Questa incertezza alimenta dubbi sull’intenzione reale del governo. Continuare a occupare terra senza una prospettiva politica rischia di isolare ancora di più Israele a livello internazionale e di pregiudicare il proprio futuro.
Olmert ha fatto appello alla necessità di accettare che due stati devono convivere in pace e libertà, altrimenti la spirale del conflitto resterà aperta e dolorosa. A ottobre 2026 ci sarà una scadenza elettorale naturale ma resta aperta la domanda su un possibile cambio di leadership anticipato, vista la crescente pressione interna.
L’intervista di Olmert riflette un diverso modo di leggere la situazione attuale e le sfide che aspettano Israele e Palestina nei mesi a venire.