La giornata mondiale della biodiversità ricorda l’importanza di preservare la varietà delle specie e degli habitat naturali della Terra. In Abruzzo, questa ricorrenza porta alla luce le difficoltà crescenti nella tutela dell’ambiente. Le politiche recenti e le proposte governative scatenano preoccupazioni tra le associazioni ambientaliste su come sarà gestita la fauna selvatica e le aree protette della regione.
Il contesto della biodiversità in abruzzo: una regione sotto pressione
L’Abruzzo si è sempre distinto per il proprio paesaggio naturale e la ricchezza di specie che ospita, tanto da essere chiamata “regione verde d’Europa“. Il territorio custodisce riserve naturali, parchi e zone di protezione come il parco naturale regionale Sirente-Velino e la rete Natura 2000 sul massiccio del Gran Sasso, fondamentale per ospitare molte specie animali e vegetali. In questi anni, però, sono venute a galla tensioni e sfide concrete per la conservazione di questi spazi.
Pressioni sulle aree protette
Negli ultimi tempi si è registrato un tentativo di ridurre aree protette, come la cancellazione della riserva regionale del Borsacchio e la contrarietà alla creazione del parco nazionale della costa teatina. Queste richieste mettono in discussione lo stato di conservazione di ambienti fondamentali per specie a rischio come il fratino, uccello che ha pressoché scomparso dal litorale. Anche gli orsi e i cervi, simboli della fauna locale, sono vittime di condizioni difficili: si segnalano morti improvvise e situazioni di pericolo legate alla caccia e a infrastrutture come invasi abbandonati.
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L’azione delle istituzioni non sembra andare oltre l’ordinaria gestione amministrativa, fatto che limita la realizzazione di progetti concreti per fermare il declino della biodiversità. La regione, nonostante le sue potenzialità, si trova quindi in una situazione che preoccupa chi si occupa di conservazione e gestione sostenibile delle risorse naturali.
Il disegno di legge nazionale e i rischi per la fauna selvatica
Sul piano nazionale, il governo Meloni ha avanzato un disegno di legge che modifica le regole sulla caccia, con ripercussioni dirette sulle specie selvatiche. Il testo propone di estendere i periodi di caccia oltre il limite di gennaio, attualmente stabilito per proteggere la fauna durante la fase di accoppiamento e pre-accoppiamento. Il divieto di caccia a febbraio, stabilito dalla legge 157 del 1992, serve proprio a garantire questo periodo di protezione fondamentale.
Se la proposta fosse approvata, molte specie diventerebbero più vulnerabili proprio nei momenti più delicati del loro ciclo vitale. La caccia prolungata mette a rischio quindi la sopravvivenza di animali già fragili e rari. Inoltre si autorizzerebbe la caccia in aree finora escluse da questa attività, come spiagge, foreste e zone umide, aumentando il pericolo per gli ecosistemi.
Norme più permissive e rischi
Ulteriore aspetto critico riguarda il divieto di caccia nelle aree demaniali, che verrebbe allentato. Questo influirebbe anche su chi pratica attività come trekking, birdwatching o lavora in campagna, creando situazioni di possibile rischio personale. La normativa attuale vieta certe pratiche, mentre il disegno di legge le riconosce, come la possibilità di cacciare fino a dopo il tramonto o con mezzi finora proibiti.
Le conseguenze per le aree naturali protette e l’uso delle tecniche venatorie
Un altro punto contestato riguarda la definizione della quantità di territorio regionale destinato a zone naturali protette. Il governo propone di limitare queste aree al massimo del 30%, rischio che porterebbe a tagli automatici da parte del ministero dell’agricoltura. La magistratura, però, ha più volte confermato che quella soglia debba essere considerata come minima e non massima.
Il provvedimento consente l’autorizzazione di nuovi appostamenti fissi per cacciatori, punti in cui si concentra una grande quantità di piombo nell’ambiente, con impatti negativi sul suolo e le acque. La caccia dopo il tramonto, prevista dal disegno di legge, aumenta i rischi di incidenti poiché gli animali e le persone diventano difficili da distinguere.
Tecniche venatorie e impatti
Tra le tecniche venatorie permesse spicca la braccata, una pratica in cui gli animali vengono inseguiti con l’aiuto di cani anche in condizioni di neve. Questo impedisce agli animali già indeboliti dall’inverno di nascondersi e aumenta la pressione su specie come volpi, cinghiali, cervi e caprioli.
Il disegno di legge autorizza anche l’uso dei cosiddetti “richiami vivi“, cioè animali catturati e tenuti in gabbia per attirare altri esemplari. Questa pratica, ampiamente criticata, si traduce in sofferenze per gli animali costretti a vivere in spazi angusti.
Infine, chi manifesta contro queste norme rischia multe fino a 900 euro. Nel frattempo, le pene per chi uccide animali protetti restano leggere e spesso inefficaci, rendendo difficile la protezione concreta della fauna.
Impatto dell’attuale situazione sulla cittadinanza e gli operatori locali
Il mutamento delle regole sulla caccia e la riduzione delle aree protette incidono anche sulle abitudini di chi vive sul territorio e frequenta la natura. Escursionisti, guide, agricoltori e appassionati di osservazione degli animali rischiano di trovarsi in ambienti meno sicuri e più esposti a pericoli improvvisi.
In Abruzzo molte attività economiche e ricreative si svolgono proprio all’interno o intorno alle zone naturali protette. La riduzione del territorio adibito a riserva mette in discussione il valore di questi luoghi, oltre che la conservazione di specie fondamentali per l’equilibrio locale.
Gli operatori rurali e chi passa molto tempo nei campi, infatti, potrebbero essere esposti a incontri con cacciatori armati, dati i nuovi permessi di caccia anche in aree finora escluse. Questo crea un conflitto tra la necessità di sicurezza personale e le nuove disposizioni normative.
Riflessioni delle associazioni ambientaliste
Le associazioni ambientaliste richiamano quindi l’attenzione su queste contraddizioni. La tutela della biodiversità non riguarda solo la conservazione degli animali e delle piante, ma coinvolge la salute e la vita delle comunità umane che vivono e lavorano in questi luoghi. Un equilibrio che appare oggi minacciato da politiche che favoriscono l’espansione della caccia a scapito della protezione ambientale.