L’omicidio di carmine d’onofrio, 23 anni, ucciso con colpi di pistola nella notte tra il 5 e 6 ottobre 2021 nel quartiere Ponticelli a Napoli, resta senza colpevoli dopo il verdetto della corte d’assise di Napoli. I cinque imputati accusati di aver messo in atto il raid mortale sono stati assolti. La vittima era in auto con la fidanzata incinta quando è stato assassinato. L’episodio aveva suscitato grande attenzione per i legami tra le parti coinvolte e il contesto criminale della zona.
Il contesto e i protagonisti dell’omicidio
Carmine d’onofrio era figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa, ritenuto capo dell’omonimo clan napoletano e fratello del noto boss Antonio De Luca Bossa, recluso da circa vent’anni. L’omicidio si inserisce in una faida tra clan rivali, con dinamiche legate a vendette e rappresaglie. La vittima si trovava in auto insieme alla fidanzata incinta quando è stato colpito a morte.
Tra gli imputati assolti spicca Marco De Micco, detto “Bodo”, leader riconosciuto del clan de Micco. Con lui erano al processo anche Giovanni Palumbo, Ciro Ricci, Ferdinando Viscovo e Giuseppe Russo jr, quest’ultimo considerato come il probabile basista dell’azione, difeso dagli avvocati Marco De Scisciolo e Vincenzo Carrano. Tutti erano accusati di aver organizzato e messo a segno l’agguato mortale.
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Le accuse della procura e il movente individuato
Secondo l’indagine della squadra mobile di Napoli e della direzione distrettuale antimafia , l’omicidio di d’onofrio nasceva come vendetta per un attentato esplosivo ai danni di Marco De Micco. La ricostruzione punta a un’azione ritorsiva: era stata piazzata una bomba davanti all’abitazione del boss e la vittima sarebbe stata coinvolta direttamente nell’attentato.
La procura di Napoli aveva chiesto l’ergastolo per tutti gli imputati, basando la sua richiesta su testimonianze e prove raccolte nel corso delle indagini. Uno dei punti chiave del processo è stato il contributo del collaboratore di giustizia Antonio Pipolo, che ha indicato il movente e la dinamica dell’agguato. Le prove dovevano confermare questa ricostruzione e permettere di assicurare alla giustizia i responsabili.
La decisione della corte, dubbi sulle intercettazioni e le prove
Il processo ha avuto una lunga fase dibattimentale, durante la quale si sono svolte analisi tecniche e perizie sulle intercettazioni telefoniche e ambientali raccolte dagli inquirenti. La corte, presieduta dal giudice Annunziata, ha disposto accertamenti specifici affidati al reparto investigazioni scientifiche .
L’avvocato Marco De Scisciolo, uno dei difensori, ha sottolineato come le verifiche abbiano dimostrato che molti dubbi sulle intercettazioni e le captazioni fossero fondati. Ciò ha portato a mettere in discussione parte delle prove presentate dall’accusa. Anche la presenza di d’onofrio nei pressi della casa di De Micco nel momento dell’attentato è stata oggetto di contestazioni tra accusa e difesa.
La corte ha ritenuto che non fosse stato dimostrato che gli imputati avessero commesso il delitto, pronunciando l’assoluzione per tutti e cinque. L’esito conferma le difficoltà evidenti in casi complessi dove la raccolta di prove certe e l’indagine su ambienti criminali sono spesso ostacolati da reticenze e contraddizioni.