La recente dichiarazione del ministro nordio in merito all’impugnabilità delle sentenze di assoluzione ha rilanciato una discussione già accesa tra giuristi e operatori del diritto. La decisione della procura di palermo di rivolgersi direttamente alla corte di cassazione ha innescato un dibattito sulle possibili modifiche procedurali, sollevando questioni di diritto e organizzazione della giustizia penale italiana. Questo articolo approfondisce le posizioni di alcuni esperti del settore e mette a fuoco i nodi principali del confronto.
Il punto di vista di alfonso celotto sulla giustizia italiana e l’eccesso di processi
Alfonso celotto, professore ordinario di diritto costituzionale all’università roma tre, parte dalla situazione attuale della giustizia italiana, descrivendo un sistema “ingolfato” da un numero eccessivo di procedimenti penali. Secondo il docente, una delle possibili soluzioni riguarda proprio la limitazione delle impugnazioni, in particolare l’abolizione del ricorso in appello per le sentenze di assoluzione emesse in primo grado, mantenendo però la possibilità di ricorrere in cassazione.
Celotto sottolinea che questa misura da sola non basta. Per evitare un sovraccarico giudiziario persistente, è necessario accostarla a una politica di riduzione dei reati, specialmente quelli minori, che spesso appesantiscono inutilmente l’iter penale. Il professore richiama l’attenzione su una serie di provvedimenti deflattivi da adottare come complemento indispensabile a questa riforma per rendere più sostenibile la macchina giudiziaria.
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La costituzione italiana e i margini per modificare l’impugnabilità
Secondo celotto, le attuali norme costituzionali non garantiscono esplicitamente il diritto al ricorso in appello ma solo quello alla cassazione, offrendo dunque un margine legale per modificare il percorso di impugnazione nelle fasi processuali. Questo implica che, sotto il profilo costituzionale, si potrebbe eliminare l’appello anche nei procedimenti civili, non solo in quelli penali, senza violare la carta fondamentale.
Il professore precisa però che la possibilità di impugnare le sentenze che infliggono condanne deve rimanere intatta, poiché rappresenta una tutela essenziale per la difesa. Eliminare l’appello solo nelle sentenze di assoluzione rappresenterebbe, quindi, una selezione mirata per snellire le procedure senza eliminare diritti fondamentali. La discussione si concentra così su un equilibrio delicato tra efficienza processuale e garanzie difensive.
La proposta di un ‘scudo’ e la necessità di riforme deflattive
Il ministro nordio ha suggerito una sorta di ‘scudo’ processuale per limitare le impugnazioni dopo assoluzioni, ma questa idea ha suscitato già qualche critica. Celotto osserva che il termine ‘scudo’ potrebbe creare fraintendimenti, perché lascia intendere una protezione eccessiva a certe sentenze. Tuttavia, spiega che l’eventuale eliminazione del ricorso in appello per le assoluzioni, con l’aggiunta di misure concrete che riducano il numero di processi, potrebbe portare a vantaggi significativi per i tempi della giustizia.
Il docente evidenzia che questa strategia farebbe fronte a uno dei problemi più annosi nel sistema giudiziario italiano: la durata della fase processuale. Ecco perché, a suo avviso, una riorganizzazione dei reati e una depenalizzazione mirata sono cruciali per contenere la mole di lavoro, evitando di trasferire il problema da un grado di giudizio all’altro.
I ritardi nei processi e il ruolo delle riforme recenti
I processi in italia si protraggono spesso per anni e le misure messe in atto recentemente, come la riforma cartabia, non hanno ridotto in maniera significativa questo fenomeno. Celotto afferma che la separazione delle carriere tra magistrati, tema spesso discusso, rappresenta un aspetto secondario rispetto alla necessità di intervenire sulle cause primarie dell’ingorgo.
La conclusione di celotto riguarda il numero ancora elevato di reati presenti nel codice penale, che alimentano un flusso di procedimenti ingestibile. La depenalizzazione di alcune fattispecie, soprattutto quelle meno gravi, è vista come una strada da percorrere per mitigare il sovraffollamento e rendere i tempi processuali più accettabili. Il dibattito resta aperto, ma chiarisce quali sono le priorità per chi vuole modificare il sistema giudiziario.