La malattia oculare tiroidea rappresenta una sfida diagnostica e terapeutica ancora poco conosciuta, nonostante il suo impatto sulla vita di chi ne soffre. Spesso confusa con semplici infiammazioni oculari, può evolvere rapidamente, causando cambiamenti fisici evidenti e problemi visivi gravi. In Italia si stanno mobilitando esperti e istituzioni per migliorare la diagnosi precoce, la presa in carico dei pazienti e la creazione di reti territoriali efficienti.
I primi segni della malattia oculare tiroidea e le sue manifestazioni visive
Tutto ha inizio con sintomi apparentemente lievi come rossore o prurito all’occhio, che vengono facilmente scambiati per congiuntivite. L’infiammazione però non si risolve e nel tempo si aggiungono complicazioni ben più evidenti: gli occhi iniziano a sporgere in modo anomalo, la forma del volto cambia e può insorgere lo strabismo. La retrazione delle palpebre è un altro segno caratteristico, così come la presenza di tessuto fibrotico che infiltrandosi nei muscoli oculari può limitarne i movimenti, provocando paralisi parziali.
Questa progressione rende la patologia più visibile, aumentando la difficoltà di vita di chi ne soffre. Le alterazioni estetiche non sono solo un problema fisico, ma spesso influenzano anche lo stato psicologico, con frequenti insorgenze di ansia e depressione. La malattia oculare tiroidea non è una semplice infiammazione ma un disturbo autoimmune che colpisce prevalentemente le donne, talvolta in relazione a patologie tiroidee e altre volte in modo indipendente.
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Il ritardo nella diagnosi e le complicazioni
Il ritardo nella diagnosi rappresenta uno degli ostacoli principali alla cura efficace della TED. Come sottolinea Salvatore Monti, endocrinologo alla Sapienza di Roma, “la diagnosi tarda è dovuta alla necessità di competenze diverse in endocrinologia, oftalmologia e immunologia.” I sintomi iniziali possono essere trascurati o confusi, ritardando il trasferimento del paziente al centro specializzato. La maggioranza delle forme è lieve seppur capace, senza interventi tempestivi, di evolvere in situazioni più gravi.
L’importanza della diagnosi precoce e di una gestione multidisciplinare
Intervenire nella fase attiva della malattia, quella infiammatoria all’origine della lesione, può contenere lo sviluppo di danni permanenti. Il quadro clinico può includere diplopia, uno dei sintomi più invalidanti, che compromette la capacità lavorativa con assenze prolungate. La TED genera costi diretti legati ai farmaci specifici e costi indiretti dovuti alle assenze dal lavoro. Monti ribadisce il bisogno di una maggiore consapevolezza da parte di medici di base, specialisti e istituzioni per migliorare l’approccio a questa malattia.
La situazione dei centri di riferimento regionali e l’esperienza della campania
In Campania, come in altre regioni italiane, manca una rete regionale ben strutturata con centri dedicati per la gestione della TED. Tommaso Pellegrino, medico del Policlinico Federico II, sta lavorando alla creazione di percorsi assistenziali basati su modelli collaudati come la rete oncologica campana. L’obiettivo è costruire una rete che consenta diagnosi tempestive e una presa in carico veloce, riducendo le differenze territoriali.
La mancanza di standardizzazione nelle fasi di diagnosi, trattamento e follow up ostacola una gestione uniforme e tempestiva. Le reti assistenziali devono integrare competenze di varie specialità, spiegando bene i bisogni dei pazienti e facilitando l’accesso a strutture coordinate. Il confronto con modelli nazionali di riferimento serve a migliorare l’organizzazione regionale e mettere in pratica soluzioni più efficaci.
La necessità di specialisti formati e un approccio coordinato per la gestione di forms moderate e severe
Ogni anno in Italia si registrano circa 5.000 nuovi casi di TED, metà dei quali viene diagnosticata con diversi mesi di ritardo. Gustavo Savino, direttore dell’oncologia oculare al Policlinico Gemelli di Roma, sottolinea come questo ritardo renda impossibile intervenire nelle fasi iniziali più delicate. Il ruolo dell’oftalmologo esperto è fondamentale per diagnosticare subito la fase e gravità della malattia e fornire indicazioni precise all’endocrinologo.
Le forme moderate e gravi richiedono un lavoro multidisciplinare in centri specializzati. Oltre a endocrinologi e oftalmologi, entrano in gioco radiologi, immunologi, psicologi e radioterapisti. Formare specialisti sul territorio e garantire l’accesso alle strutture di riferimento rappresenta la vera sfida per evitare che i pazienti si trovino senza un percorso chiaro. Solo con un coordinamento stretto tra professionisti sarà possibile gestire i pazienti in modo più efficace, riducendo le complicanze e l’impatto sociale della patologia.