Nicola di Matteo ha parlato dopo la scarcerazione di giovanni brusca, ex boss di cosa nostra condannato per oltre 150 omicidi, tra cui quello di suo fratello Giuseppe. La notizia ha riaperto ferite profonde in una famiglia segnata dal dolore e in molti che vedono nella liberazione un colpo allo Stato e alla memoria delle vittime. Nicola racconta il peso dei ricordi, la sua rabbia e le difficoltà a concepire il perdono per chi ha commesso crimini così atroci.
Il trauma della liberazione di brusca per la famiglia di di matteo
La scarcerazione di giovanni brusca ha scosso profondamente la famiglia di nicola di matteo, che oggi si trova a fare i conti con un dolore che sembrava destinato a rimanere confinato nelle aule di tribunale e nei ricordi. Giuseppe, il fratello di nicola, fu ucciso in modo crudele: strangolato e poi sciolto nell’acido, un delitto pianificato in una stagione buia della lotta alla mafia. A distanza di 29 anni, vedere il carnefice tornare libero ha fatto crollare un muro emotivo.
Nicola racconta come nelle ore successive alla notizia si sia sentito sopraffatto, fino a ipotizzare un errore, dato l’impatto devastante dell’evento. “Mi scrivevano ‘ti sono vicino’ e pensavo fosse un malinteso”, ha detto all’agenzia informativa. Quel “fine pena mai”, che per lui rappresenta la giusta condanna per suo fratello, sembra invece essere valso solo per brusca. Nicola descrive i momenti trascorsi con Giuseppe durante l’infanzia, segnati da complicità e giochi, oggi offuscati dal ricordo di una tragedia che ha cancellato ogni innocenza.
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Ricordi e rabbia
Questi ricordi amplificano la sua rabbia, che non accenna a placarsi. La descrizione della morte di Giuseppe – prima prigioniero e annientato psicologicamente, poi barbaramente ucciso – rappresenta un passo fondamentale per capire il peso del lutto e la difficoltà di accettare la liberazione di brusca anche solo mentalmente.
Il giudizio di nicola di matteo sullo stato e la legge sui collaboratori di giustizia
Nicola di Matteo osserva con una doppia lente l’attuale situazione: da un lato denuncia una mancanza dello Stato nel garantire una risposta definitiva alle vittime, dall’altro riconosce che la legge sui collaboratori di giustizia ha fornito strumenti importanti per il contrasto alla mafia. Però, questo bilancio non basta a superare il senso di fallimento che prova come familiare di una vittima.
Riflessioni sul sistema giudiziario
Secondo nicola, la liberazione del boss rappresenta un segnale negativo, un “fallimento” che si aggiunge a tante altre situazioni irrisolte. Contemporaneamente, esprime una sorta di fiducia nel fatto che la normativa possa essere modificata per evitare che persone come brusca possano tornare in libertà in futuro. Il sistema giudiziario, che ha permesso di ricostruire le responsabilità e individuare carcere e pene per i mafiosi più pericolosi, deve porre nuovi limiti, a suo parere, per non tradire la memoria delle vittime.
Il familiare ribadisce una distanza netta tra la legge e la percezione del suo effetto personale. Pur rispettando la normativa, non riesce a trovare pace davanti a chi ha ucciso suo fratello, perché nella sua esperienza nulla potrà cancellare la sofferenza. Questa contraddizione alimenta un sentimento di amarezza che si manifesta forte e chiaro nelle sue parole.
Un dolore impossibile da perdonare: la ferita di nicola e sua madre
Il racconto di nicola di matteo torna a soffermarsi sul delitto di suo fratello, spiegando perché la liberazione di brusca scatena una rabbia così intensa e una difficoltà pressoché insuperabile nell’immaginare una forma di perdono. Viene evidenziata l’atrocità del gesto: un bambino fidato e amato, strangolato e posto in una soluzione corrosiva da chi lo conosceva personalmente e a cui portava del cibo.
La sofferenza della famiglia
Nicola sottolinea quanto questa violenza abbia segnato non solo il fratello, ma l’intera famiglia, e in particolare sua madre, che porta nel cuore una ferita mai guarita. Ogni volta che il nome di Giuseppe viene pronunciato provoca dolore profondo, mentre il nome di brusca scatena rabbia e turbamento, arrivando fino all’estremo della sofferenza emotiva.
Per il fratello della vittima il perdono appare fuori discussione: non trova spazio nella sua esperienza personale. Anche se altre famiglie possono scegliere vie diverse, il suo rifiuto rimane fermo e non negoziabile. Nel rievocare le parole di brusca che parla di un “percorso” fatto durante gli anni in carcere, nicola risponde con distacco e avverte che quell’uomo non è il benvenuto in un luogo segnato dal dolore e dalla memoria delle vittime.
Il suo auspicio finale è di non incontrarlo mai. Se dovesse accadere, avrebbe solo una domanda: “come si può uccidere un bambino in quel modo?” È una domanda che da anni si porta dentro, e che si traduce nel volto di un dolore concreto, nemico di qualsiasi forma di giustificazione.