L’eruzione dei Campi Flegrei, nota come ignimbrite campana, ha modellato profondamente il paesaggio della Campania circa 39.000 anni fa. Questo evento vulcanico ha lasciato tracce visibili ancora oggi nelle caratteristiche del territorio, soprattutto grazie ai depositi tufacei diffusi in tutta la piana campana. Le conseguenze di quell’eruzione si riflettono nella morfologia attuale, influenzando anche l’attività umana che ha sfruttato intensamente tali risorse. Qui raccontiamo come la natura e l’uomo abbiano plasmato questa regione.
La struttura e l’attività vulcanica dei campi flegrei
I Campi Flegrei si trovano nel cuore della piana campana e rappresentano un sistema vulcanico complesso, definito come struttura calderica. Questa caldera si è generata a seguito del collasso di rocce sotto la superficie potente e si è evoluta negli ultimi 39.000 anni con più di settanta centri eruttivi diversi. In particolare, la caldera attuale si è formata sovrapponendo due collassi principali: il primo avvenuto durante l’eruzione dell’ignimbrite campana, il secondo legato all’eruzione del tufo giallo napoletano. Questi eventi hanno costruito la base del territorio moderno, formando depositi spessi anche cinquanta metri di materiale piroclastico.
Caratteristiche dei depositi piroclastici
Nel dettaglio, i depositi noti come tufo grigio campano coprono vaste aree della piana, testimoniando la potenza dell’eruzione che, con flussi piroclastici ad alta velocità e temperature estreme, ha investito la regione con violenza. Questa dispersione dei depositi sulla superficie ha trasformato radicalmente il profilo del terreno, generando nuovi rilievi e cambiando il piano campagna.
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L’impatto dell’eruzione sulla morfologia del territorio
L’eruzione dell’ignimbrite campana ha spinto depositi di materiale vulcanico fino a cinquanta metri di altezza in alcune aree, modificando per sempre la geografia locale. Questa nuova stratificazione ha creato un diverso livello topografico, sul quale si sarebbero sviluppate forme di vita e comunità successive. Il paesaggio risultante non è paragonabile agli eventi vulcanici più recenti, come l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., che risulta molto meno impattante a confronto.
Il deposito del tufo grigio campano ha preparato le condizioni per un ambiente naturale diverso da quello precedente, offrendo superfici nuove ed elevando la piana. La robustezza e le caratteristiche del tufo hanno favorito nel corso dei secoli un intenso sfruttamento umano. Questi materiali, facili da lavorare e adatti all’edilizia, hanno portato alla realizzazione di numerose cave a cielo aperto, soprattutto nelle zone pianeggianti della Campania. Così, non solo la natura ha lasciato un segno visibile, ma anche l’uomo ha sfruttato quei segni per i propri bisogni.
L’attività antropica e lo sfruttamento del tufo nelle cave a fossa
A partire dagli inizi fino alla seconda metà del secolo scorso, vaste aree della Campania sono state sottoposte a un intenso sfruttamento estrattivo del tufo, specie nei territori segnati dai depositi piroclastici dell’ignimbrite campana. Le cave a fossa, scavate a cielo aperto, hanno modificato la superficie e il sottosuolo, creando grandi cavità e pozzi. Questo tipo di estrazione ha interessato principalmente zone di pianura, dove il tufo giaceva a profondità non eccessive.
Importanza del tufo per l’edilizia
Il materiale estratto si è rivelato prezioso per la costruzione, proprio per le sue proprietà meccaniche e la facilità di lavorazione. La presenza di queste cave modella da vicino il paesaggio locale odierno, mostrando i segni di una lunga relazione tra ambiente e uomo. Gli scavi hanno permesso di recuperare blocchi tufacei utilizzati nelle costruzioni storiche locali, diffondendo l’impronta dell’eruzione fino ai centri abitati.
Questa attività ha però lasciato anche delle conseguenze evidenti, con cave ormai abbandonate o parzialmente utilizzate. Alcuni siti mostrano oramai strutture sotterranee di una certa complessità e profondità, testimonianza di decenni di lavorazione intensiva. Le trasformazioni su scala locale derivano quindi da questo doppio passaggio: prima della natura vulcanica, poi dalla mano umana, che ha risposto alle risorse offerte dal suolo.
Uno sguardo alla piana campana oggi dopo 39.000 anni
Oggi, osservando la Campania centrale, si riconoscono chiaramente gli effetti prodotti dall’eruzione dell’ignimbrite campana e dallo sfruttamento successivo del tufo. Le formazioni tufacee sparse mostrano al geologo e al turista le tracce di un evento primordiale che ha modellato la regione. Dalle quote più alte delle cave tufacee alle piane, la geografia rispecchia ancora quei depositi.
La somma degli interventi naturali e antropici ha creato una varietà di paesaggi, da zone collinari ai terreni pianeggianti, caratterizzati da fondamenta e substrati di origine vulcanica. Questo contesto geologico è importante anche per capire i rischi legati all’attività vulcanica che ancora si manifesta nei Campi Flegrei, dove segnali di instabilità risultano periodicamente monitorati.
Il patrimonio geologico e storico della Campania, in questo senso, si intreccia con le sue comunità, che hanno edificato città e infrastrutture su una base modellata da eventi antichi come l’ignimbrite campana. Questo rende il territorio non solo un caso di studio per geologi e vulcanologi, ma anche una realtà viva e abitata, trasformata in profondità da millenni di attività naturali e umane.