Il documentario ‘Posso entrare? An Ode to Naples‘, diretto dalla regista britannica Trudie Styler, si concentra sulla città di Napoli attraverso uno sguardo attento e intimo. Presentato in diverse sedi internazionali, il film racconta storie di vita quotidiana, memorie e lotte sociali, mostrando una Napoli poco conosciuta lontana dagli stereotipi. Alla base del progetto c’è la curiosità di Styler verso una città che prima d’ora non aveva esplorato a fondo, e la collaborazione con il direttore della fotografia Dante Spinotti, che ha contribuito a dare forma a questa narrazione fotografica e umana.
Un incontro con napoli inaspettato e personale
Trudie Styler ha raccontato che conoscere Napoli è stata per lei una vera sorpresa e una rivelazione emotiva. Pur avendo vissuto e lavorato in diverse città italiane, come Roma e Pisa, non si era mai fermata a Napoli in modo approfondito. Questa città, a differenza della Toscana o della costiera amalfitana, le era rimasta lontana fino a poco tempo fa. L’occasione è arrivata grazie a Rai Cinema e Mad Entertainment, che le hanno offerto piena libertà creativa nel realizzare il documentario.
La regista si è approcciata a Napoli con il desiderio di coglierne la complessità e l’energia vitale. Il film ha preso forma come una tela bianca, su cui Styler ha voluto dipingere la realtà come l’ha percepita, senza giudizi ma con rispetto e attenzione. La sua esperienza è fatta di dialoghi con abitanti di diversi quartieri, di ascolto e di apertura verso chi vive ogni giorno tra le strade di Napoli.
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La domanda che apre porte e racconti
Il titolo del documentario nasce da una frase che la regista ripete spesso nei suoi incontri: “Posso entrare?”. È la richiesta di permesso che Styler rivolge a chi incontra nei vicoli, nelle case, nei bassi di Napoli. Questa domanda diventa metafora di uno spazio di fiducia e dialogo aperto, dove gli interlocutori rispondono invariabilmente con un invito ad entrare, a condividere pezzi di vita e di storia.
Questa semplice frase racchiude il senso del film, che si propone di offrire uno sguardo rispettoso sulle realtà più autentiche della città. Le risposte che Styler riceve alle sue domande e ai suoi timidi bussare alle porte diventano voci e testimonianze capaci di descrivere un’amministrazione sociale, umana e culturale più complessa di quanto appaia. Attraverso questo invito, il documentario cerca di configurarsi come una narrazione partecipata e corale.
Volti e storie di una napoli nascosta
‘Posso entrare?‘ mette in scena molte voci diverse. Da quella di una casalinga o di una guantaia che raccontano il dolore per la perdita di una figlia, a Norma, un’ex campionessa di nuoto ultranovantenne che ricorda la Seconda guerra mondiale e la visita di Hitler a Napoli. Il film include anche protagonisti della lotta contro la camorra e figure del “rinascimento civile” della città sotto il Vesuvio.
Tra questi spiccano Padre Antonio Loffredo, il parroco che ha rilanciato il Rione Sanità, e Roberto Saviano, scrittore e giornalista noto per il suo impegno contro la criminalità organizzata. La consigliera comunale Alessandra Clemente racconta la propria storia familiare segnata dalla violenza della camorra, mentre un gruppo di attiviste chiamate Forti Guerriere espone il lavoro contro la violenza domestica. Questi volti compongono un mosaico reale, lontano dalle sole apparenze turistiche.
Il racconto musicale e una chitarra dalle storie di migranti
Il documentario si apre con un pezzo musicale del rapper napoletano Clementino, che in pochi minuti riassume 3000 anni di storia della città. Styler ha voluto integrare nel film la necessità di narrare anche le radici culturali di Napoli, e per farlo ha scelto il rap come forma espressiva immediata e popolare. Questa scelta mostra il desiderio di rendere il racconto vicino e accessibile.
Un altro momento toccante è il cameo di Sting, marito di Styler e noto musicista, che suona una chitarra costruita con il legno recuperato dai barconi dei migranti. La scena si svolge sotto alle finestre chiuse del carcere di Secondigliano, simbolo di un’attenzione sociale che il film intende sollevare. Sting ha partecipato senza esitazioni a questa iniziativa, accompagnando così la riflessione sulle difficoltà e i desideri di inclusione della città.
Una produzione italo-britannica con attenzione ai dettagli quotidiani
La realizzazione del documentario ha coinvolto diverse realtà, dall’italiana Rai Cinema e Luce Cinecittà, alla britannica Mad Entertainment e Big Sur. Il film è stato presentato a Roma nel 2023 e nel 2024 ha trovato spazio nel prestigioso MoMA di New York, confermando il valore internazionale del progetto. Trudie Styler ha sottolineato con leggerezza la sua esperienza quotidiana sul set, tra pause per il caffè e la gestione delle riprese.
Le ore trascorse a Napoli hanno lasciato un segno profondo nella regista, che ha raccontato di aver bevuto più espresso in quel periodo di quanto mai prima. Questa quotidianità sul campo ha contribuito a restituire un documentario autentico, costruito sull’ascolto e l’attenzione ai dettagli più minuti della vita partenopea. Il contenuto si lascia attraversare dalla voglia di raccontare senza filtri una città la cui complessità continua a provocare interesse e confronto.