La procura di catania ricorre contro l’assoluzione del professore per violenze sessuali su studentesse

La procura di catania ricorre contro l’assoluzione del professore per violenze sessuali su studentesse

La procura di Catania presenta appello contro l’assoluzione del professore dell’università etnea accusato di violenze sessuali su otto studentesse all’ospedale Vittorio Emanuele-Ferrarotto, contestando la valutazione delle prove e la durata del processo.
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La procura di Catania ha fatto appello contro l’assoluzione di un professore dell’Università di Catania, accusato di violenze sessuali su otto studentesse, contestando la valutazione delle prove e la durata eccessiva del processo. - Gaeta.it

La procura di catania ha presentato appello contro la sentenza che aveva assolto un professore dell’università etnea accusato di violenze sessuali e molestie su otto studentesse tra il 2010 e il 2014, all’ospedale vittorio emanuele-ferrarotto. La decisione del tribunale aveva richiamato alcune prescrizioni e motivazioni che non hanno convinto i magistrati. La vicenda, che si è trascinata per quasi un decennio, è ora al centro di un procedimento di secondo grado con l’obiettivo di rivedere il giudizio di primo grado.

Dettaglio della sentenza di primo grado e le motivazioni dell’assoluzione

Il tribunale di catania ha assolto il professore sulla base di alcune censure al procedimento, in particolare per la prescrizione di alcune accuse. Il giudice aveva riconosciuto che il docente aveva effettivamente “appoggiato i palmi al seno” di una studentessa, ma aveva scartato l’ipotesi di violenza sessuale, sostenendo che “non c’è stata una pressione particolare delle mani”. Quindi, l’azione non sarebbe stata accompagnata da costrizioni fisiche sufficienti a configurare il reato contestato.

Parte della sentenza ha evidenziato come alcuni episodi fossero caduti sotto la soglia del tempo massimo permesso dalla legge per procedere, cancellando automaticamente alcuni capi d’imputazione. L’insieme di queste ragioni ha spinto il tribunale verso la decisione di non condannare il professore, rigettando quindi la gravità dei fatti denunciati. Tuttavia, proprio il modo in cui queste conclusioni sono state tratte ha creato malumori nella procura che ora ha inoltrato il ricorso per la revisione del giudizio.

Le critiche della procura sull’iter del processo e la durata eccessiva

Nel ricorso, firmato dal procuratore aggiunto sebastiano ardita e dal sostituto francesco cristoforo alessandro camerano, si denuncia il “decorso inaccettabile del tempo” del procedimento, durato quasi nove anni e coinvolgente diversi collegi giudicanti. I pm sostengono che quest’estenuante lentezza processuale abbia danneggiato le parti lese, soprattutto perché ha influenzato i ricordi dei testimoni e ha reso più difficile ottenere un giudizio tempestivo e corretto.

Il lungo arco temporale del processo avrebbe inciso sulla nitidezza delle testimonianze e rallentato la ricerca della verità. Nelle carte dell’appello si sottolinea come il tortuoso svolgimento abbia vanificato parte dell’effettiva efficacia probatoria, tanto che le parti offese si sono trovate di fronte a un tribunale poco sicuro nel riconoscere la fondatezza delle loro accuse. L’obiettivo della procura è rimettere ordine nella vicenda, evitando ulteriori dilazioni e ribadendo la necessità di un confronto giudiziario che non si perda nei dettagli temporali ma guardi ai fatti complessivi.

Contestazioni sulla valutazione delle testimonianze e delle prove da parte del tribunale

La procura contesta con forza la sentenza perché, a suo giudizio, il tribunale ha sbagliato nel modo di valutare le dichiarazioni delle studentesse coinvolte. Nonostante il riconoscimento di un atteggiamento “predatorio” e “ossessivo” da parte del professore verso le giovani, i giudici avrebbero ignorato la prova del dolo, fondamentale per qualificare il reato di violenza sessuale.

Secondo l’appello, la motivazione presenta un “vizio logico di contraddizione” interna: da un lato ammette i comportamenti seriali e i modi opprimenti del docente, documentati da otto vittime e da testimoni esterni, ma dall’altro esclude il dolo e la componente oggettiva del reato. La sentenza analizza i singoli episodi senza considerarli nel loro insieme, in una “parcellizzazione errata” che conduce alla conclusione che le credibilità delle testimonianze sia da scartare in toto.

Questa frammentazione delle prove avrebbe prodotto, secondo i magistrati, un errore giudiziario che svaluta un quadro consolidato di abusi. Il ricorso tenta di dimostrare che le concordanze nei racconti, i dettagli precisi e le condizioni in cui si sono svolti gli abusi rappresentano un elemento decisivo per riconoscere la responsabilità penale del docente.

Rilevanza delle testimonianze e il quadro complessivo delle violenze denunciate

Oltre a contestare la tecnica di valutazione della sentenza, la procura mette in evidenza l’importanza dei racconti raccolti da otto ragazze vittime, alcune delle quali all’epoca non avevano rapporti reciproci eppure hanno descritto in modo simile le violenze. Le testimonianze convergenti includono particolari nitidi e riferimenti a specifici eventi, che contribuiscono a delineare una condotta reiterata e offensiva da parte del professore.

Questi elementi, si legge nell’appello, costituiscono “prova insuperabile” per il riconoscimento dei reati. Il ricorso chiede di considerare l’insieme delle aggressioni, piuttosto che soffermarsi su un singolo episodio, per evitare errori di interpretazione e omissioni importanti. In questo modo, si punta a una lettura più realistica e approfondita della vicenda, che tenga conto della sofferenza delle vittime e del modo in cui l’abuso si è ripetuto nel tempo all’interno dell’ospedale universitario.

Il fascicolo di appello conserva dunque l’obiettivo di rimettere in gioco la complessità delle prove e superare le ambiguità della sentenza originaria, riportando al centro del processo l’esperienza denunciata dalle studentesse e la necessità di una sentenza giusta e proporzionata ai fatti accertati.

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