L’impatto delle tariffe imposte dagli Stati Uniti sul vino italiano è stato al centro di un dibattito acceso. Mentre l’ex ministro italiano dell’Agricoltura minimizzava l’effetto sui consumatori americani sostenendo che i prodotti di qualità avrebbero mantenuto il loro valore, i dati più recenti raccontano una realtà diversa. Le aziende italiane produttrici di vino stanno sopportando il peso finanziario dei dazi, con conseguenze significative per sostenere la presenza nei mercati statunitensi. Unione Italiana Vini ha pubblicato un’analisi che chiarisce come i costi aggiuntivi causati dalle tariffe gravino direttamente sulle imprese italiane, non sugli acquirenti oltreoceano.
L’errore di valutazione sulle conseguenze dei dazi per i consumatori americani
Sei mesi fa, l’allora ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida aveva ridimensionato le preoccupazioni legate alle tariffe Usa per i prodotti agroalimentari italiani, incluso il vino. La sua argomentazione si basava sulla presunzione che i consumatori statunitensi avrebbero continuato ad acquistare vini pregiati anche con un prezzo maggiorato, definendo questi prodotti come “anelastici” rispetto al prezzo. Secondo la sua visione, chi cercava i prodotti di alta qualità come il Parmigiano Reggiano o i vini premium sarebbe stato disposto a investire di più, impedendo ai dazi di incidere sensibile sulle vendite.
Questa ipotesi tuttavia appare lontana dalla realtà economica del settore. I dati mostrano che la maggior parte delle esportazioni italiane nel settore vinicolo riguarda prodotti a basso prezzo di circa 4,18 euro al litro franco cantina. Il segmento di vini di lusso copre appena il 2% del totale esportato. Questo suggerisce che il mercato complessivo risponde con maggiore elasticità ai cambiamenti di prezzo rispetto a quanto suggerito dal ministro. La metafora automobilistica sintetizza bene lo stato attuale: pochi prodotti sono come Ferrari e Maserati, ma la maggior parte è simile a vetture più comuni tipo Fiat, quindi più sensibili al prezzo.
Chi sostiene il costo dei dazi: un’analisi dell’impatto sulle cantine italiane
L’analisi di Unione Italiana Vini delinea chiaramente la distribuzione dell’onere finanziario legato ai dazi. Dall’introduzione degli aumenti tariffari statunitensi, le cantine nostrane hanno registrato complessivamente un aggravio di 61 milioni di dollari solo in tre mesi. Questo valore rappresenta circa un terzo dell’import di vino negli Usa, con la Francia subito avanti a 62,5 milioni di dollari.
Il punto cruciale è comprendere chi effettivamente sostiene questa spesa. L’ipotesi iniziale prevedeva che fossero i consumatori americani o al massimo i distributori statunitensi a farsi carico dei rincari. Invece i dati mostrano che sono le imprese italiane a ridurre i prezzi di vendita per mantenere la presenza sugli scaffali. Nel luglio 2024 il prezzo medio del vino italiano negli Usa è sceso del 13,5% passando da 6,52 a 5,64 dollari al litro in un anno. A fronte dei dazi, le aziende tagliano i margini di profitto per restare competitive, un sacrificio non da poco.
Secondo Lamberto Frescobaldi, presidente di Uiv, “perdere mercato negli Stati Uniti sarebbe molto costoso. Rientrare richiederebbe investimenti e tempo, quindi le aziende preferiscono operare con margini più bassi per non compromettere volumi e quota di mercato”. Le trattative per ottenere esenzioni dai dazi proseguono, ma finché non si arriverà a un accordo le imprese dovranno accettare quel sacrificio.
Fattori strutturali e prospettive future per il vino italiano sul mercato globale
Oltre all’impatto diretto delle tariffe, nel settore vinicolo si aggiungono questioni di natura strutturale. Negli ultimi anni il mercato mondiale del vino si è ampliato includendo nuovi produttori e nuovi paesi protagonisti dell’export. Italia e Francia non monopolizzano più l’orizzonte commerciale e si trovano a competere con molti altri paesi.
Nel contesto della vendemmia 2024 si registra ancora un’ampia disponibilità di stock nelle cantine nazionali, che contribuisce ulteriormente a mettere pressione sui prezzi. Alcuni produttori sono stati costretti ad abbassare i listini per collocare la propria produzione, una strategia che non può durare a lungo senza influire sulla sostenibilità economica.
Il presidente Frescobaldi invita alla riflessione sull’opportunità di ridurre le quantità prodotte, perché “una produzione più contenuta può implicare più forza nel definire i prezzi”. Allo stesso tempo, la marginalità compressa potrebbe tradursi in rischi per la qualità del prodotto nel medio periodo. Questo scenario contrasta con la visione ottimistica di alcuni rappresentanti politici sulla tenuta del settore di fronte ai dazi e alle difficoltà internazionali.
Segnali positivi dal fronte dei nuovi accordi commerciali
Nonostante le difficoltà, alcune novità potrebbero delineare scenari più favorevoli per le aziende italiane. L’accordo raggiunto tra Unione Europea e Mercosur rappresenta un’opportunità concreta. Anche se inizialmente il governo italiano aveva mostrato resistenze, in seguito ha modificato la sua posizione. Il Mercosur vale oggi solo lo 0,6% dell’esport vinicolo italiano, ma in prospettiva si caratterizza come un mercato ampio e con una classe media in crescita.
Secondo il presidente di Uiv questa parte del continente sudamericano potrebbe diventare un bacino importante grazie a legami culturali ed etnici che avvicinano i consumatori a prodotti italiani. La diversificazione dei mercati di destinazione si rivela quindi indispensabile per alleggerire la pressione che deriva da rapporti commerciali più tesi e per compensare eventuali cali negli Usa o in altri paesi.
Questi elementi spingono il comparto a pensare a strategie di lungo termine più equilibrate tra qualità, quantità e mercati, in modo da difendere il valore del made in Italy vinicolo nel mondo.