La morte di “Vespino” a Ivrea: tre medici a processo per omicidio colposo

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Processo per la morte di “Vespino” a Ivrea: tre medici sotto accusa. - Gaeta.it

Sofia Greco

7 Settembre 2025

Andrea Pagani Pratis, conosciuto come “Vespino” nella redazione del giornale carcerario “La Fenice” di Ivrea, è morto il 7 gennaio 2024, dopo giorni di malessere e cure giudicate insufficienti. A pochi giorni dalla sua ultima pubblicazione, la notizia della sua scomparsa ha scosso la comunità carceraria, e l’indagine aperta ha portato ora al rinvio a giudizio di tre medici per omicidio colposo. Il caso solleva pesanti interrogativi sulla gestione della sanità dentro le mura del carcere e sulle responsabilità che hanno portato alla perdita di un uomo di 47 anni, punto di riferimento per i compagni detenuti.

“Vespino”, un punto di riferimento dentro il Carcere Di Ivrea

Andrea Pagani Pratis, alias “Vespino”, non era solo un detenuto. A 47 anni, con una condanna a 18 anni, era diventato un punto di riferimento per chi gli stava vicino. Era il caporedattore de “La Fenice”, il giornale nato proprio dentro il carcere di Ivrea. Scrivere era per lui un modo per esprimersi e dare un senso alla vita dietro le sbarre.

Nel quotidiano, guidava gli altri detenuti nella scrittura, correggeva articoli, partecipava alle riunioni di redazione. La sua passione creava un senso di comunità in un ambiente difficile. Chi lo conosceva lo descriveva come una persona che amava portare avanti idee e progetti, sempre attento a chi, come lui, cercava nella scrittura una via di riscatto.

Quando è arrivata la notizia della sua morte, il dolore tra i detenuti è stato forte. Non contava quello che aveva fatto fuori dal carcere: qui dentro, la sua presenza e il suo impegno erano ciò che davvero contava. Molti hanno pianto la perdita di un compagno che, nel tempo, si era guadagnato un ruolo di leadership tranquilla ma solida.

Gli ultimi giorni: visite mediche e omissioni

Nei giorni prima di morire, Vespino aveva febbre alta, tosse e sudorazione intensa. Il 31 dicembre 2023 fu visitato per la prima volta dal medico Zakaria Abdalla Jabur Mutlag, che però non prescrisse nessuna cura specifica, nonostante i sintomi ormai persistessero da giorni. Il 4 gennaio, con condizioni stabili ma non migliorate, il medico Edoardo Tappari gli somministrò antibiotici, antinfiammatori e mucolitici, senza però fare altri accertamenti.

Il 6 gennaio la situazione peggiorò. Vespino fu visitato due volte da Giovanni Dal Vecchio, medico del carcere, ma non fu deciso né un ricovero né un trasferimento in ospedale. Tornò in cella, sempre più in difficoltà a respirare, con problemi circolatori evidenti. La mattina seguente, il 7 gennaio, morì.

La perizia medico-legale ha chiarito che i sintomi – tachipnea, tachicardia e astenia – richiedevano un intervento urgente, soprattutto un ricovero. La causa ufficiale della morte è stata un’embolia polmonare, confermata dagli esami. Ora i tre medici sono imputati per omicidio colposo, e Tappari rischia anche per falso, perché non avrebbe redatto il referto medico relativo alla visita del 4 gennaio.

La gestione sanitaria contestata: testimonianze e critiche

I compagni di cella e di redazione raccontano di come la salute di Vespino peggiorasse di giorno in giorno: faceva fatica a camminare e a respirare, aveva dolori diffusi. Negli ultimi momenti la sua pelle era diventata spenta, le labbra viola. Nonostante tutto, le sue richieste di aiuto e la compilazione del modulo per chiedere il ricovero – il cosiddetto mod. 393 – non furono accolte.

Il personale medico avrebbe liquidato i sintomi come un’influenza, limitandosi a prescrivere Tachipirina e Brufen. “La Fenice” ha denunciato un atteggiamento di sottovalutazione verso le lamentele dei detenuti, spesso considerati esagerati. Secondo le testimonianze, gli agenti di polizia penitenziaria erano disponibili a portare Vespino in infermeria ogni volta che lo chiedeva, ma il problema sembrava un altro.

I suoi compagni si sentono in colpa per non aver potuto fare di più e mettono in discussione il sistema sanitario interno al carcere. Questa vicenda apre una riflessione sul valore dell’assistenza in carcere e su come chi sta dietro le sbarre venga visto e curato, non solo come detenuto, ma come persona.

Il futuro dell’inchiesta e il ricordo di “Vespino”

La procura di Ivrea ha fissato l’udienza preliminare per il 5 febbraio 2025, davanti al Gip. In quella occasione, la madre e il fratello di Andrea Pagani Pratis si costituiranno parte civile nel processo contro i tre medici. L’indagine si concentra sulle omissioni e le negligenze nel controllo e nel trattamento della malattia che ha colpito Vespino nei giorni prima della sua morte.

Fuori dal carcere, Andrea Pagani Pratis era un detenuto condannato a 18 anni. Dentro, era molto di più: un insegnante di educazione fisica che aveva scelto la scrittura per ritrovare un pezzo di dignità.

I colleghi del giornale lo ricordano seduto al computer fino all’ultimo, a definire gli articoli da pubblicare. Era lui a spingere la redazione, portando avanti idee e temi all’interno della comunità carceraria. L’ultimo ricordo di “Vespino” è quello di un uomo che, nonostante il dolore, voleva esserci ancora, partecipare, non arrendersi.

La sua morte ha acceso un dibattito sul trattamento sanitario nelle carceri e sulle responsabilità del personale medico. Le circostanze che hanno portato a quella fine lasciano aperte molte domande. Ora si attende che la giustizia faccia il suo corso.