Oggi il Mediterraneo è quel grande specchio d’acqua che collega Europa, Africa e Medio Oriente. Ma non è sempre stato così. Circa 5,3 milioni di anni fa, ha attraversato una trasformazione enorme. Prima, era quasi completamente prosciugato. Poi, una gigantesca alluvione lo ha riempito di nuovo in pochissimo tempo. La storia di questo evento racconta di come un lembo di terra tra Spagna e Marocco abbia chiuso il passaggio con l’oceano Atlantico, trasformando il Mediterraneo in un deserto salato per millenni, fino a quando una frattura ha permesso a un’ondata d’acqua immensa di tornare a riempirlo.
Il Mediterraneo prosciugato e la crisi di salinità del Messiniano
Circa 6 milioni di anni fa, il livello del mare scese così tanto da chiudere lo stretto di Gibilterra, quel passaggio naturale largo appena 13 chilometri che collega il Mediterraneo all’Atlantico. Probabilmente a causa di un’era glaciale che fece calare le acque, il mare rimase isolato e cominciò a prosciugarsi lentamente. Nel giro di circa mille anni, quel bacino si trasformò in una zona arida, con fondali che si trovavano da 3 a 5 chilometri sotto il livello del mare attuale.
In quel periodo, il Mediterraneo non era più un mare vero e proprio. Era piuttosto una serie di bacini salati, simili al Mar Morto di oggi. La scarsità d’acqua fece depositare sul fondo grandi quantità di minerali come gesso e salgemma, che si accumularono fino a formare strati spessi anche un chilometro. Questi depositi sono la prova tangibile di quel prosciugamento e ci aiutano a ricostruire cosa è successo in quei milioni di anni.
I fiumi che oggi sfociano nel Mediterraneo, come il Nilo e il Rodano, allora finivano direttamente su quella pianura asciutta. Scavarono canyon profondissimi nella roccia emersa: per esempio, il canyon del Rodano si formò in meno di centomila anni, arrivando a una profondità di circa 2700 metri sotto il livello del mare di oggi. Le ricerche geologiche confermano che il Mediterraneo nel Messiniano fu protagonista di uno dei fenomeni più particolari nella storia della Terra.
La megalluvione: un’inondazione che ha cambiato il Mediterraneo in pochi anni
La crisi del Messiniano finì all’improvviso, circa 5,3 milioni di anni fa. L’innalzamento del livello del mare, o forse movimenti tettonici, ruppero quel ponte di terra che bloccava il passaggio tra Atlantico e Mediterraneo, aprendo una breccia che oggi chiamiamo alluvione Zancleana. Attraverso quella fessura, un’enorme massa d’acqua oceanica si riversò con forza dentro il bacino ormai prosciugato.
Quell’alluvione è probabilmente la più grande mai avvenuta sul nostro pianeta. L’acqua iniziò a scavare un canale lungo circa 200 chilometri attraverso lo stretto di Gibilterra, approfondendo il passaggio di circa 40 centimetri al giorno. In meno di due anni, il Mediterraneo si riempì completamente, un tempo brevissimo se pensiamo alle scale geologiche.
La forza di quell’acqua non solo riportò il mare al suo posto, ma scavò profondamente il terreno intorno, creando nuove strutture sul fondale. Quel cambiamento rapido segnò una svolta decisiva nella geografia del Mediterraneo, restituendo un ecosistema acquatico a un’area che era rimasta arida per millenni.
Le tracce della megalluvione: canyon e scarpate nel Mediterraneo
La potenza di quell’alluvione si vede ancora oggi nelle formazioni geologiche lungo i bordi del bacino mediterraneo. Una delle prove più evidenti si trova lungo il confine orientale della Sicilia, dove si estende la Scarpata di Malta. Questa parete sottomarina lunga 290 chilometri arriva quasi a 4 chilometri di altezza ed è un punto chiave per capire come si è riempito il Mediterraneo.
Quando l’acqua della megalluvione entrò nel Mediterraneo orientale, attraversò proprio questa scarpata e il canyon di Noto, un passaggio sottomarino particolarmente ripido e profondo. Il canyon di Noto, con i suoi 700 metri di altezza, è il più ripido e profondo del mondo, un vero e proprio collo di bottiglia naturale. Da qui, l’acqua si riversò rapidamente in tutto il Mediterraneo orientale, dimostrando quanto violento e veloce fosse stato il riempimento.
Questi elementi geologici restano oggi come tracce visibili della forza di quella megalluvione. Permettono agli scienziati di capire meglio l’entità e la portata di quei processi che hanno modellato il mare milioni di anni fa. Studiare canyon e scarpate significa ricostruire nel dettaglio quegli eventi e confermare quanto emerso da altre ricerche scientifiche.