La fine dell’universo potrebbe arrivare prima: nuovi studi sulle radiazioni di hawking e l’evaporazione degli oggetti cosmici

La fine dell’universo potrebbe arrivare prima: nuovi studi sulle radiazioni di hawking e l’evaporazione degli oggetti cosmici

Nuove ricerche di Heino Falcke e colleghi della Radboud University estendono la radiazione di Hawking oltre i buchi neri, riducendo le stime sulla durata della materia ordinaria nell’universo.
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Nuove ricerche estendono la radiazione di Hawking a corpi celesti oltre i buchi neri, riducendo le stime sulla durata della materia ordinaria e suggerendo un destino cosmico più breve per l’universo. - Gaeta.it

Il destino ultimo dell’universo è da sempre un tema che appassiona astronomi e fisici. Recenti ricerche suggeriscono che la fine dell’universo potrebbe verificarsi in un arco di tempo più breve rispetto alle stime tradizionali. Alla base di questa ipotesi c’è una nuova interpretazione della radiazione di Hawking, finora associata esclusivamente ai buchi neri, che ora coinvolge altri corpi celesti. La scoperta porta a nuove stime sulla durata della vita della materia ordinaria nello spazio e mette in discussione le ipotesi consolidate sulla longevità cosmica.

Radiazione di hawking oltre i buchi neri

La radiazione di Hawking, prevista decenni fa dal celebre fisico Stephen Hawking, si riferisce all’emissione di particelle da parte dei buchi neri. Si tratta di un processo in cui l’energia del buco nero si disperde lentamente nel tempo, portando a una perdita di massa graduale. Questo fenomeno ha implicazioni cruciali per comprendere come e quando i buchi neri potrebbero evaporare completamente e quale ruolo giocano nella fine dell’universo termico.

Un recente studio condotto dall’astrofisico Heino Falcke, insieme ai colleghi Michael Wondrak e Walter van Suijlekom della Radboud University, ha portato alla luce una novità importante: la radiazione di Hawking potrebbe coinvolgere anche oggetti meno densi rispetto ai buchi neri, come stelle di neutroni, nane bianche o persino ammassi galattici. Questi corpi, seppur non dotati di un orizzonte degli eventi, creano deformazioni dello spazio-tempo che risultano sufficienti a generare radiazione simile a quella di Hawking.

Estensione del fenomeno a nuovi contesti cosmici

Ne consegue che il fenomeno non è più confinato agli ambienti ultraestremi dei buchi neri, ma può manifestarsi in contesti cosmici meno immediati. Questo allarga il campo d’azione della radiazione e impone di rivedere i modelli di evoluzione e decadimento della materia nell’universo.

Nuove stime sulla durata delle stelle e della materia ordinaria

I calcoli elaborati dal gruppo di Falcke mettono in evidenza un nuovo orizzonte temporale per la durata della materia ordinaria. Secondo lo studio, una nana bianca potrebbe avere una vita stimata di circa 10^78 anni prima di evaporare completamente per effetto della radiazione. La Luna, in questo contesto, impiegherebbe un tempo addirittura superiore, circa 10^89 anni, per sparire nello stesso modo.

Per un corpo umano, in termini teorici, la vita stimata si estenderebbe su una scala di 10^90 anni, molto oltre la nostra concezione di tempo. I buchi neri supermassicci, quelli al centro di molte galassie, evaporerebbero in circa 10^96 anni, mentre addirittura l’alone di materia oscura che circonda un superammasso galattico durerebbe intorno a 10^135 anni.

Confronto con stime tradizionali

Queste cifre rappresentano un cambiamento radicale rispetto alle stime tradizionali, che avevano fissato la durata stimata dell’universo a circa 10^100 anni. Sebbene tutte queste tempistiche siano enormemente lunghe rispetto alla scala umana o anche stellare, il fatto che siano più brevi rispetto a prima cambia la prospettiva sulle dinamiche cosmiche a lunghissimo termine.

Effetti sull’umanità e riflessioni future

Non c’è motivo di allarmarsi per queste nuove previsioni, almeno nell’immediato. Persino se l’essere umano riuscisse a diventare una civiltà interstellare, la durata prevista per la fine dell’universo rimarrebbe comunque molto più lunga di quella necessaria per la colonizzazione di altri sistemi planetari. Il Sole, ad esempio, avrà ancora circa 5 miliardi di anni di vita prima di terminare il suo ciclo.

La ricerca di Falcke e colleghi offre agli scienziati una nuova lente con cui osservare l’universo, prima che diventi irriconoscibile nel futuro remoto. Capire come la materia ordinaria evapora attraverso processi legati a radiazioni cosmiche permette di definire meglio le leggi che governano spazio, tempo ed energia.

Il lavoro è stato pubblicato sul Journal of Cosmology and Astroparticle Physics e apre la strada a ulteriori ricerche sul comportamento degli oggetti ultradensi e sulla natura stessa dell’universo. Assieme a queste scoperte, si continua ad affinare la nostra comprensione della fine dei tempi cosmici, mantenendo però sempre viva la prospettiva scientifica e misurata che contraddistingue l’astrofisica moderna.

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