La scomparsa delle grandi città maya e l’abbandono dei templi tra il IX e il X secolo d.C. hanno suscitato diverse ipotesi. Nuove ricerche scientifiche, basate sull’analisi di una stalagmite scoperta nello Yucatán, mostrano come i lunghi periodi di siccità abbiano avuto un ruolo decisivo in questo fenomeno.
La civiltà maya tra splendore e declino graduale
La civiltà Maya si estendeva dal Messico meridionale fino a gran parte dell’America Centrale. Città-stato fiorenti, templi con conoscenze astronomiche avanzate e strutture architettoniche imponenti caratterizzavano questa cultura. Nel corso dei secoli, il loro sviluppo culturale e scientifico raggiunse livelli elevati, ma la loro presenza nelle terre maya iniziò a diminuire nel giro di duecento anni.
Dalla fine dell’VIII secolo si osservò un progressivo abbandono delle città principali, senza che le cause precise fossero note. Oltre a ipotesi che coinvolgono conflitti interni o pressioni demografiche, il declino sembra derivare da una serie di eventi concatenati che combinano difficoltà politiche, sociali e ambientali. Questo processo complesso esclude un crollo improvviso e indica una trasformazione lenta ma irreversibile.
Stalagmiti come archivio naturale del clima passato
Un filone di ricerca ha esaminato gli indizi nascosti nella geologia, analizzando una stalagmite raccolta in una grotta dello Yucatán. Queste formazioni calcaree conservano tracce meteorologiche grazie alla composizione isotopica dell’ossigeno al loro interno. Analisi chimiche e fisiche hanno permesso di ricostruire le variazioni delle piogge stagionali tra il 871 e il 1021 d.C.
È stato possibile distinguere la quantità di precipitazioni di ogni singola stagione, non solo una media annuale. Questo dettaglio è fondamentale per comprendere come si siano susseguiti gli eventi siccitosi: i raccolti dipendevano infatti dalla pioggia caduta in mesi specifici e la sua assenza prolungata influiva sull’intera economia agricola. Lo studio, coordinato dall’Università di Cambridge e pubblicato su Science Advances, ha evidenziato che diverse fasi di siccità corrispondono al periodo in cui le città vennero abbandonate.
Gli otto periodi di siccità e le loro conseguenze sociali
L’elemento più rilevante emerso dalla stalagmite è la conferma di otto episodi prolungati di scarsità di pioggia durante la stagione delle piogge, ciascuno durato almeno tre anni. Uno di questi periodi durò addirittura tredici anni consecutivi, un intervallo sufficiente a causare un grave collasso agricolo. I Maya utilizzavano tecniche avanzate per raccogliere e conservare l’acqua, come canali e serbatoi, ma non bastarono a compensare un periodo di siccità così lungo.
Le conseguenze furono pesanti: riduzione dei raccolti, difficoltà alimentari e crescenti tensioni politiche nelle città-stato. Molti siti archeologici, tra cui Chichén Itzá, mostrano che in quegli anni si interruppero le attività politiche e la costruzione di nuovi monumenti. Il disagio ambientale si intrecciò con problemi sociali ed economici, provocando un rapido svuotamento urbano.
Questa scoperta chiarisce un aspetto finora poco evidente: la crisi climatica giocò un ruolo centrale nel declino Maya. Pur non essendo l’unica causa, questa nuova evidenza scientifica contribuisce a rivedere la comprensione storica di quel periodo.
L’analisi delle stalagmiti conferma che il destino della società dipese da una serie di eventi naturali e umani concatenati. Lo studio sottolinea come le antiche comunità precolombiane subirono direttamente le conseguenze della scarsità d’acqua e la ridotta capacità di affrontare le emergenze. Questi elementi aprono la strada a ulteriori approfondimenti multidisciplinari.