Una mostra a Milano cala un ponte tra due epoche e due modi di rappresentare la caducità della vita. Nella pinacoteca della veneranda Biblioteca Ambrosiana, a partire dall’8 maggio, si apre il dialogo tra la natura morta classica di Caravaggio e la scultura contemporanea di Jago. L’artista di Anagni propone una cesta piena di armi in marmo bianco, un’immagine che si staglia in netto contrasto con il celebre cesto di frutta del maestro milanese. Questo scontro visivo invita lo spettatore a riflettere sul valore e sulla fragilità dell’esistenza attraverso due sguardi distanti nel tempo.
La mostra al veneranda Biblioteca Ambrosiana: un evento nato per caso
La genesi della mostra nasce da una casualità. Jago, all’anagrafe Jacopo Cardillo, racconta di aver progettato l’opera che sarebbe diventata il cuore dell’esposizione senza pensare a un confronto diretto con Caravaggio. Durante una conversazione con Iole Siena di Arthemisia, è emersa la possibilità di proporre l’opera alla veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano. Da quel momento è iniziata la collaborazione con i responsabili del museo, fino alla realizzazione dell’evento espositivo durato da maggio 2025.
La mostra è intitolata “Natura morta. Jago e Caravaggio: due sguardi sulla caducità della vita” proprio per mettere a fuoco la comune riflessione sulle cose che passano, quelle che svaniscono. Non è solo un confronto tra oggetti, ma un dialogo tra epoche artistiche diverse. Nel gruppo di opere si mettono a confronto un linguaggio antico, magico e sensoriale, con uno scultoreo fatto di freddo marmo e immagini di morte.
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La cesta di armi in marmo: il significato dietro il gesto di Jago
La scultura di Jago non è un semplice omaggio alle nature morte tradizionali: è un urlo contro la violenza che riempie il nostro presente. Al posto della frutta, al centro della sua composizione spiccano pistole, fucili e mitragliatori scolpiti nel marmo bianco. Questo materiale, tipico dell’artista, serve a sottolineare un contrasto esplosivo: la durezza degli oggetti, simbolo di morte, si staglia contro la vita che nella natura morta classica è solo in apparenza assente.
Jago ha spiegato più volte nelle interviste che non si tratta di un’opera d’arte nel senso tradizionale del termine. Quegli oggetti non sono stati creati da lui ma sono il prodotto di chi li ha concepiti per uccidere. Il suo ruolo è stato quello di comporre le armi come fossero frutti, mettendo in scena uno spreco enorme: la capacità umana messa al servizio della distruzione. Per lo scultore questa immagine esprime la follia della società contemporanea, incapace di scegliere valori come la comunicazione, la solidarietà e la vita.
Il confronto con la natura morta di Caravaggio e il senso della vita
Caravaggio, nel suo capolavoro della canestra di frutta, cattura la vita che resiste, con frutti maturi che sembrano pronti a essere assaggiati. Quella natura morta è piena di dettagli realistici, luce che dà sensazioni di fragilità e presenza simultanee. Nella mostra, questa iconica opera del pittore milanese contrappone la sua energia vitale alla composizione implacabile di Jago.
Lo scultore di Anagni riconosce l’importanza della tradizione, per lui il linguaggio classico dell’arte non è morto. Anzi, è capace di trasmettere valori e storie che noi oggi fatichiamo a raccontare. Dietro la sua opera c’è un senso di impotenza e sconforto, ma anche il desiderio di sollevare lo sguardo verso qualcosa che resta vivo, come quello sguardo caravaggesco che concede un barlume di speranza.
Jago e la sperimentazione all’expo di osaka con “apparato circolatorio”
Jago porta la sua creatività anche fuori dall’Italia, partecipando a Expo Osaka 2025. Al padiglione Italia, dedicato al tema “l’arte rigenera la vita”, presenta “Apparato Circolatorio”, un’opera realizzata con ceramica e video. Qui, trenta cuori scolpiti si animano in trenta fotogrammi che durano un solo battito di cuore.
Con questa installazione, Jago dimostra come un materiale così rigido possa trasformarsi in qualcosa di vivo e pulsante. Il cuore, simbolo universale di vita e sentimento, diventa in questa esperienza un vero e proprio battito eterno in cui si fonde scultura e tecnologia. L’opera riflette anche un aspetto fondante del lavoro dell’artista: la capacità di far dialogare forme e tempi diversi per raccontare temi universali come la vita e la sua fragilità.
La tradizione come percorso di ricerca e identità artistica
Per Jago la tradizione non rappresenta un vincolo ma una fonte che interagisce con il presente. L’artista si riconosce in un modo di esprimersi che ha radici profonde nella storia dell’arte, un linguaggio comune che ancora riesce a emozionare e a comunicare. Non si tratta di seguire la moda o il sistema dell’arte contemporanea, ma di tornare a dire chi è e cosa ama, eliminando sovrastrutture.
In questa direzione si colloca anche il suo modo di lavorare la scultura in marmo, materiale antico che si presta a una forma di espressività tutta sua. Jago sceglie di raccontare storie senza parole, racconti che risuonano per immagini e forme precise, in cui ogni elemento ha un peso e una storia da raccontare. Il risultato è un’arte che, pur lontana dalle tecniche tradizionali, resta fedele al valore del racconto visivo e della memoria.