La tensione e la paura di chi torna dall’Iran dopo essere rimasto intrappolato sotto i bombardamenti israeliani trovano voce in questa vicenda recente. Fatemeh Sakhtemani, 36 anni, architetta italiana di origine iraniana, è riuscita a lasciare il paese con il figlio piccolo. Nel racconto emergono l’angoscia delle notti trascorse sotto i colpi dei missili e la difficoltà nei contatti con i familiari rimasti a Teheran. Fatemeh fa parte di un gruppo di 24 persone evacuate dall’Iran via Azerbaigian, che sono arrivate all’aeroporto di Malpensa.
La fuga dall’iran tra missili e paure notturne
Fatemeh è tornata in Italia portando con sé il figlio di 18 mesi, che doveva visitare i nonni in Iran. Ma il viaggio si è trasformato in un incubo quando al loro rientro il paese è stato colpito da attacchi missilistici. «Sono felice ma sono anche preoccupata», ha raccontato al Tg2, spiegando di aver sentito esplosioni dapprima a Teheran, poi, spostandosi fuori città, la situazione è peggiorata, soprattutto l’ultima notte trascorsa presso la casa di famiglia. In quel momento la paura ha preso il sopravvento per la vicinanza delle bombe israeliane.
Il ricordo del boato vicino all’ambasciata
Il ricordo più forte è quello di quel boato vicino all’ambasciata iraniana, mentre aspettava l’autobus per lasciare il paese: quell’esplosione è rimasta impressa nella mente e nelle orecchie. La condizione in cui si trovava, con il figlio piccolo e sotto il costante rumore delle sirene e delle bombe, ha segnato profondamente questo momento. Fatemeh ha descritto con chiarezza questa atmosfera di angoscia e incertezza, che ha accompagnato ogni passo verso la fuga.
Leggi anche:
Il dramma dei familiari rimasti bloccati a teheran
Oltre allo stress della fuga, Fatemeh ha dovuto fare i conti con l’impossibilità di contattare i suoi genitori rimasti a Teheran. Le comunicazioni sono bloccate, i telefoni muti e i canali di connessione interrotti. La donna ha espresso la sua preoccupazione per le condizioni dei suoi cari, incapace di sapere come stanno. Questa situazione di isolamento non è rara in questi casi di crisi: l’interruzione delle comunicazioni complica ogni tentativo di assistenza e consolazione.
La paura per l’incertezza sulle persone care
Fatemeh ha detto di aver intenzione di cercare nuove vie per ristabilire i contatti, ma la paura resta forte. Il nodo più stretto è l’incertezza sul destino delle persone care, che rimangono esposte ai rischi dei bombardamenti senza possibilità di scampo immediato. Questo elemento fa emergere la drammaticità vissuta da chi non è riuscito a lasciare il paese in tempo e continua a vivere nella zona interessata dal conflitto.
L’appello disperato di salvatore politi e il supporto dell’ambasciata
Il compagno di Fatemeh, Salvatore Politi, medico ginecologo di Parma, ha raccontato le ore difficili trascorse prima del rientro. La sua voce è diventata un appello pubblico per ottenere aiuto nel far evacuare la famiglia. Politi ha definito la sua richiesta «un grido disperato e impotente», sottolineando la frustrazione di non poter intervenire direttamente per mettere in sicurezza la donna e il bimbo.
Il ritorno e il sostegno diplomatico
Il viaggio di ritorno è stato possibile grazie alla collaborazione tra ambasciata italiana e altre persone coinvolte nel gruppo di evacuazione. Fatemeh ha riconosciuto l’importanza dell’intervento diplomatico e del supporto di altri italiani che hanno condiviso questa esperienza. L’arrivo all’aeroporto di Malpensa ha rappresentato un momento di sollievo e di riabbracci, ma le ferite di quanto vissuto restano ancora vive.
Il racconto di questa famiglia mette in luce le difficoltà che si presentano quando si deve lasciare un paese in condizioni di pericolo e l’importanza delle reti di solidarietà per superare situazioni di crisi così profonde.