L’Emilia-Romagna si conferma al primo posto in Italia per quanto riguarda i beni confiscati alla criminalità organizzata e restituiti alla collettività. Sul territorio regionale sono presenti centinaia di immobili e aziende sottratte alle mafie e destinate a usi sociali o pubblici. Questa situazione è emersa dal report elaborato da Libera presentato all’Assemblea legislativa durante la Giornata della legalità. Il censimento fa il punto su trenta anni di applicazione della legge del 1996 riguardante il riutilizzo di questi beni.
Numeri e diffusione dei beni confiscati in emilia-romagna
Più di un quarto dei comuni emiliano-romagnoli ospita almeno un bene confiscato alla criminalità mafiosa. La regione conta 656 immobili in amministrazione giudiziaria, mentre 244 sono beni già destinati a scopi sociali o pubblici. Gestite direttamente o indirettamente, ci sono 91 aziende confiscate e 48 che hanno già un uso sociale assegnato. Quelle in mano a soggetti della società civile sono 17, attivi in 15 territori comunali diversi. Questi soggetti includono sette associazioni, due cooperative sociali, tre aggregazioni temporanee di scopo , quattro enti pubblici e un consorzio di cooperative.
Un network diffuso per il recupero e la gestione
Questi dati confermano come l’Emilia-Romagna abbia una rete ampia e articolata per il recupero e la gestione dei beni tolti alle mafie. Le realtà coinvolte hanno ruoli diversi, ma tutte si occupano di trasformare quello che prima era strumento di illegalità in risorsa per la comunità. Il lavoro svolto in questi anni si concentra sia sulla conservazione dell’immobile, sia sull’attività sociale o lavorativa che può ospitare. Questo impegno contribuisce a tenere alta l’attenzione contro le infiltrazioni criminali soprattutto in territori tradizionalmente a rischio.
Leggi anche:
La memoria di capaci e le sfide attuali delle mafie
Alla presentazione del report, Maurizio Fabbri, presidente dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, ha voluto ricordare la strage di Capaci, del 1992, un evento che resta una ferita nella storia italiana. Quel giorno, con l’uccisione del giudice Falcone e degli agenti della sua scorta, si percepì il rischio di perdere ogni speranza di giustizia. La generazione di chi aveva allora poco più di quindici anni ha vissuto la paura che la mafia potesse prevalere definitivamente.
Fabbri ha sottolineato come oggi la criminalità organizzata non usi più solo la violenza, ma operi in modo più subdolo. L’infiltrazione si manifesta attraverso la corruzione diffusa e silenziosa, la creazione di imprese fittizie, l’inquinamento degli appalti pubblici, la pressione sui subappalti e gare al ribasso e il riciclaggio di denaro in settori economici meno visibili. Questi meccanismi consentono alle mafie di insediarsi anche in regioni come l’Emilia-Romagna, ricche di attività economiche, dove cercano di mimetizzarsi. Per questo, è fondamentale che ogni comportamento anomalo o sospetto venga segnalato subito alle autorità competenti.
Esempi virtuosi di utilizzo sociale dei beni confiscati
In Emilia-Romagna esistono diverse esperienze di gestione positiva e attiva dei beni confiscati. Villa Celestina a Bologna rappresenta una di queste: un immobile che è tornato a vivere come luogo aperto alla comunità. A Pieve di Cento, invece, un appartamento confiscato ospita il progetto di accoglienza sociale “Il Ponte” oltre alla sede della polizia municipale. Questo connubio tra attività sociali e istituzionali dimostra come i beni tolti alle mafie possano ricoprire funzioni concrete per i cittadini.
La cooperativa arca di noè a san lazzaro di savena
Anche San Lazzaro di Savena conserva un esempio significativo. Qui una cooperativa sociale, Arca di Noè, gestisce un immobile confiscato creando un centro di accoglienza per persone migranti. Si tratta di una risposta diretta a bisogni emergenti nella società, che altrimenti rischierebbero di essere ignorati o marginali. Sulla provincia di Parma, gli edifici di Salsomaggiore Terme sono affidati all’Ente Parco regionale dello Stirone che ne cura l’uso e la manutenzione. A Berceto, una villa con terreno è diventata un centro civico gestito dalla cooperativa Le Radici; ospita una biblioteca, una piscina comunale e offre spazi per bambini e anziani.
Queste realtà dimostrano come il patrimonio confiscato, oltre a restituire un segno di giustizia, possa trasformarsi in infrastrutture per la comunità, punti di riferimento culturali e sociali. Sono luoghi dove i cittadini ritrovano un senso di sicurezza e opportunità lontano dalla presenza mafiosa.
L’attenzione dell’Emilia-Romagna verso il recupero sistematico dei beni confiscati è un segnale chiaro dello sforzo per contrastare la criminalità organizzata a tutti i livelli. La presenza di oltre 600 immobili su una rete capillare rafforza il controllo del territorio. Lo stato di salute di questa rete si misura anche dalla capacità di valorizzare questi beni attraverso la società civile e le istituzioni locali. In una regione che conta più di 300 comuni, la diffusione dei beni restituiti è un elemento che fa la differenza, soprattutto quando questi immobili diventano strumenti vivi di integrazione e di servizi per i cittadini.