Il tenore iraniano Ramtin Ghazavi, noto per essere l’unico artista iraniano ad aver lavorato alla Scala di Milano, ha espresso un’opinione netta sull’attuale conflitto che coinvolge Israele e l’Iran. Nonostante viva all’estero da oltre vent’anni, Ghazavi segue con grande attenzione gli sviluppi dei bombardamenti e sostiene che l’azione militare israeliana rappresenti una via necessaria per liberare l’Iran dal regime che governa il paese da quasi mezzo secolo. Le sue parole offrono un punto di vista personale e diretto, inserito in un contesto di tensioni internazionali e di profonde sofferenze nella popolazione iraniana.
Un addio doloroso e una nuova speranza per l’iran
Ramtin Ghazavi ha lasciato l’Iran più di 20 anni fa, portando con sé l’esperienza di chi ha conosciuto da vicino il paese ma ha deciso di cercare altrove condizioni di vita e di lavoro diverse. Ghazavi definisce l’Iran «il paese più ricco del mondo, ma con la popolazione più povera», una contraddizione che restituisce l’idea di un paese segnato da ingiustizie sociali e da una leadership politica che, a suo dire, soffoca qualsiasi forma di libertà. Nonostante la distanza, il tenore continua a seguire con apprensione gli avvenimenti che coinvolgono la sua terra d’origine, soprattutto in questi giorni di bombardamenti che giudica necessari per una possibile rinascita.
La tragedia di un malato grave
La situazione viene descritta da Ghazavi come la tragedia di un malato grave portato d’urgenza in sala operatoria. Sebbene consapevole dei rischi e del dolore, ritiene che l’intervento, per quanto duro, sia l’unica strada possibile per salvare una popolazione che da troppo tempo vive sotto un regime autoritario. Le sue parole non nascondono la sofferenza personale, soprattutto perché i suoi familiari e amici si trovano ancora in Iran, esposti a una realtà complessa e difficile da cambiare dall’esterno.
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Il giudizio sul conflitto israele iran e le critiche ai commentatori esterni
Il tenore non nasconde l’irritazione nel sentire commenti da parte di persone – anche residenti in Italia – che parlano del conflitto Israele-Gaza senza conoscere la reale situazione iraniana. Ghazavi sottolinea come siano molti i cittadini del mondo occidentale a farsi un’opinione basata soltanto su ciò che vedono nei media, ignorando le condizioni interne dell’Iran. Definisce il governo iraniano come un regime totalitario che da 47 anni viola sistematicamente i diritti umani e crea condizioni di estrema sofferenza per chi vive nel paese.
La realtà di fondo del conflitto
Secondo Ghazavi, il giudizio sull’operato di Israele non può prescindere dalla realtà di fondo: Israele combatte un regime che non è solo una minaccia regionale, ma anche la causa di un’agonia quotidiana per milioni di persone in Iran. Ignorare questo dettaglio rende incompleta la comprensione di un conflitto che ha radici molto profonde, lontane dalla semplice cronaca degli attacchi a Gaza. La visione del tenore incoraggia ad approfondire la situazione interna all’Iran per valutare in modo più consapevole gli eventi militari che si susseguono.
Il monito al regime e la speranza di caduta del governo vigente
Ghazavi auspica che Israele porti avanti l’attacco fino a raggiungere “la testa del serpente”, cioè il cuore del regime iraniano. Ritiene che il governo in carica sia più fragile di quanto si immagini e impreparato a fronteggiare un attacco così diretto. La metafora del serpente sottolinea la convinzione che eliminare la leadership porterà a un crollo dell’intero sistema di potere, liberando di conseguenza la popolazione.
La possibile sollevazione della popolazione
Il tenore suggerisce che, se il regime crolla, la gente comune si solleverà e si ribellerà a lungo termine. Questo scenario non è un semplice desiderio ma una previsione basata sulla convinzione che la pressione militare e politica al centro del potere possa dare voce a chi da anni vive oppresso e senza diritti. Ghazavi considera quindi l’intervento militare di Israele un fattore decisivo, che potrebbe cambiare davvero le sorti di un paese oppresso e segnato da continue repressioni.
Le sue parole si inseriscono in un dibattito più ampio che da tempo coinvolge non solo i governi e le cancellerie, ma anche le opinioni pubbliche in Italia e nel mondo. La posizione di un artista come lui, con una carriera internazionale e radici iraniane, mostra quanto il conflitto abbia ripercussioni non solo geografiche ma personali, e quanto la guerra condizioni vite e relazioni anche fuori dai confini del Medio Oriente.