Negli Stati Uniti, un progetto politico conservatore sta segnando l’agenda dell’amministrazione Trump a partire dal 2025. Redatto dalla Heritage Foundation, think tank noto per le sue posizioni di destra, il documento “Project Esther: A National Strategy to Combat Antisemitism” mira a limitare e criminalizzare il movimento filo-palestinese nel paese. Le iniziative che ne derivano coinvolgono università, attivisti e organizzazioni non governative, sollevando dibattiti sulla libertà accademica e sui diritti civili. La strategia prende le mosse da un rapporto sugli attacchi di Hamas e sulle conseguenze della controffensiva israeliana a Gaza, con una visione molto netta e restrittiva sul dissenso rispetto a Israele.
Background e origine del project esther: da project 2025 a un piano specifico contro l’antisemitismo
Il “Project Esther” è stato reso pubblico il 7 ottobre 2024, un anno dopo l’inizio della guerra tra Hamas e Israele che ha portato a un massacro a Gaza. La Heritage Foundation, già autrice del “Project 2025” – un manifesto per una futura amministrazione repubblicana – ha focalizzato ora l’attenzione in modo più circoscritto. Il nuovo piano prende il nome da Esther, la regina biblica che, secondo le Scritture, salvò gli ebrei da uno sterminio in Persia. Questo documento vuole fermamente contrastare, a livello nazionale, ciò che definisce una “ondata senza precedenti” di antisemitismo all’interno degli Stati Uniti, e più specificamente smantellare le attività del movimento filo-palestinese. L’approccio di “Project Esther” è volto a definire ogni critica o dissenso verso Israele come un sostegno al terrorismo, e quindi una minaccia interna.
La rete Hamas Support Network
Il testo evidenzia l’esistenza di una rete chiamata “Hamas Support Network”, che connetterebbe attivisti, università, media liberal, gruppi filantropici e organizzazioni internazionali. Tale rete, secondo la Heritage, avrebbe l’obiettivo di minare le radici della democrazia americana, associando così il movimenti filo-palestinesi a un complotto con intenti distruttivi verso il sistema politico e sociale degli Stati Uniti.
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La Heritage Foundation ha sviluppato durante il 2024 un piano comunicativo chiaro per dipingere il movimento pro-palestinese come pericoloso e collegato a Hamas. Le organizzazioni antisioniste attive negli Stati Uniti, come Jewish Voice for Peace e Students for Justice in Palestine, sono state accusate di orchestrare proteste violente e di ricevere finanziamenti da potenze straniere avverse. Tale narrazione è stata promossa per far percepire che la minaccia deriva non solo da estremismi ebraici ma da un complesso ecosistema che coinvolge anche influenti “élite progressiste”.
Infografica e protagonisti citati
Il documento interno diffuso include un’infografica che identifica presunti responsabili della diffusione dell’antisemitismo in una piramide, nella quale figurano nomi di esponenti ebraici come George Soros e politiche come Bernie Sanders o Elizabeth Warren. Vengono stampate anche fondazioni come la Tides Foundation o il Rockefeller Brothers Fund come elementi che alimentano quello che viene definito l’“ecosistema dell’antisemitismo”. Questo approccio ha innalzato la tensione nei confronti delle organizzazioni accademiche e degli enti non governativi giudicati complici di un presunto sostegno al terrorismo.
Attuazione delle misure con l’amministrazione trump: restrizioni, espulsioni e pressioni legali
Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca nel gennaio 2025, una parte consistente delle idee del “Project Esther” è stata tradotta in azioni concrete. Il New York Times ha verificato che oltre la metà delle raccomandazioni sono state adottate o stanno per esserlo. Victoria Coates, ex consigliere per la sicurezza nazionale e oggi vicepresidente della Heritage Foundation, ha confermato la volontà di passare a una fase repressiva in cui si applicano sanzioni legislative e provvedimenti legali contro presunti “sostegni materiali al terrorismo”.
Prime azioni visibili
Tra gli interventi già visibili ci sono tagli ai finanziamenti per dipartimenti universitari, licenziamenti di professori ritenuti simpatizzanti o coinvolti, e restrizioni di accesso per gruppi filo-palestinesi nei campus. I controlli più severi coinvolgono anche cittadini stranieri, come Mahmoud Khalil, arrestato a New York durante una protesta alla Columbia University e successivamente espulso. A queste azioni si aggiungono cause civili contro attivisti e pressione legale in grado di scoraggiare manifestazioni. In più Stati sono state approvate leggi che vietano i boicottaggi contro Israele, con il sostegno degli studi legali conservatori che intentano cause contro sigle giudicate collegate a Hamas.
Reazioni e divisioni nel mondo ebraico: critiche dall’interno della comunità
Il “Project Esther” ha scatenato un dibattito interno alla comunità ebraica americana. Numerosi ex membri di organizzazioni ebraiche, tra cui l’ex presidente della Anti-Defamation League, Robert Sugarman, hanno duramente criticato il piano. In una lettera aperta, questi firmatari hanno denunciato il rischio che la sicurezza ebraica venga strumentalizzata per limitare il diritto allo studio, la libertà di parola e altri pilastri democratici. Nel documento si chiede alle istituzioni ebraiche di non lasciare spazio a queste misure, ma di unirsi a chi difende i diritti civili.
Opinioni di stefanie fox
Stefanie Fox, direttrice di Jewish Voice for Peace, figura al centro dell’attenzione per il ruolo rivendicato dall’amministrazione, ha definito la strategia autoritaria. Secondo Fox, “l’intimidazione e la repressione sistemica contro chi sostiene i diritti palestinesi rappresentano un modello che rischia di estendersi in futuro contro qualunque forma di opposizione all’agenda politica del governo”. Il contesto resta teso, tra restrizioni sempre più nette e una comunità divisa sul significato e l’impatto delle azioni adottate.