In una fase in cui gli Stati Uniti mostrano un approccio più rigido verso studenti e ricercatori stranieri, l’Italia si interroga su come valorizzare il proprio capitale umano e invertire la fuga di cervelli. Nel 2025, dopo alcune iniziative europee e nazionali, si propone di concentrare l’attenzione sui dottori di ricerca giovani che hanno maturato esperienza all’estero, riconoscendo però le difficoltà di inserimento nel mercato accademico e scientifico italiano.
Il contesto internazionale e le misure europee esistenti per il rientro dei ricercatori
Il clima politico americano si è intensificato verso un controllo rigoroso degli studenti cinesi, come ha recentemente affermato l’ex presidente Donald Trump, modificando in parte i toni in relazione agli Stati Uniti. Questo scenario di restrizioni ha stimolato vari paesi europei a proporre misure per sostenere il ritorno o l’arrivo di ricercatori.
L’Italia ha varato un bando chiamato “rientro dei cervelli”, pensato per attrarre conoscenze scappate all’estero. Anche la Francia ha promosso iniziative analoghe per fermare la perdita di talenti scientifici. A livello comunitario, Ursula von der Leyen ha inserito nei programmi europei fondi per 500 milioni di euro da dedicare a progetti di ricerca e mobilità. Questi fondi puntano a rafforzare la cooperazione scientifica e a creare condizioni più favorevoli al trasferimento di conoscenze a livello internazionale.
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L’idea di un nuovo bando dedicato ai dottori di ricerca con esperienza all’estero
Tra le proposte nate nel dibattito pubblico e tra gli accademici italiani, emerge l’ipotesi di un bando dedicato a ricercatori giovani, che hanno conseguito il dottorato da non più di sei anni e che hanno svolto studi o attività scientifiche all’estero per almeno due anni. L’intento è intercettare una fascia spesso trascurata dalle misure finora adottate, cioè i giovani dottorandi e post-dottorati alle prime esperienze lavorative, che faticano a trovare opportunità solide in Italia.
Il bando si rivolgerebbe sia a cittadini italiani che sono usciti fuori dai confini nazionali sia a stranieri interessati a stabilirsi in università o centri di ricerca italiani. L’assenza di limiti anagrafici o discriminazioni di nazionalità punta a rendere il sistema il più aperto e inclusivo possibile. Per aiutare le università italiane, questo meccanismo di cofinanziamento permetterebbe di supportare concretamente cinque ricercatori circa per ciascun dottorato di ricerca.
La strategia per rafforzare le università tramite fondi e internazionalizzazione
L’ipotesi prevede una durata triennale per il bando con un investimento necessario che si aggira intorno ai 50 milioni di euro l’anno. Questi fondi verrebbero assegnati a ciascuna delle circa 900 scuole di dottorato in termini competitivi, stimolando così un meccanismo di selezione qualitativa.
Così, ogni dottorato potrebbe attrarre un gruppo di giovani studiosi con competenze acquisite all’estero, contribuendo a rinnovare e ad arricchire la didattica avanzata. Il ritorno di questi ricercatori favorirebbe inoltre un aumento dei progetti internazionali e lo sviluppo di reti di collaborazione scientifica, elementi che oggi rappresentano leve indispensabili per migliorare la competitività delle università italiane nel panorama globale.
L’operazione non prevede una distinzione tra discipline scientifiche o umanistiche, mirando a un’azione trasversale sulle diverse aree del sapere.
Le sfide e le aspettative nel rilancio del sistema di ricerca italiano
Dal punto di vista pratico, il successo di questo tipo di iniziative dipenderà dall’effettiva capacità dell’università italiana di accogliere ricercatori che hanno fatto esperienza in contesti molto diversi da quello nazionale. Esistono problemi di inserimento, riconoscimento di titoli esteri e normativi che ancora rallentano la mobilità.
Tuttavia, con una dotazione finanziaria adeguata e meccanismi di selezione chiari, questo tipo di bando potrebbe innescare una circolazione di talenti che favorisce la crescita scientifica.
La proposta giunge in un momento in cui il sistema accademico italiano ha mostrato limiti nelle politiche giovanili e nelle opportunità di carriera post dottorato. Il coinvolgimento diretto di università e centri di ricerca è fondamentale per evitare dispersioni.
L’interrogativo rimane allora se il governo e le amministrazioni universitarie saranno pronti a sostenere un programma su scala nazionale, con risorse che soddisfino le esigenze concrete del mondo della ricerca.