La nuova pellicola tutta colpa del rock, diretta da Andrea Jublin e prodotta da PiperFilm con Netflix, esplora il potere rigenerante della musica e delle relazioni umane anche nelle situazioni più difficili, come quella del carcere. Ambientato nel contesto di un gruppo di detenuti che formano una band per partecipare a un contest musicale, il film presenta un cast corale capitanato da Lillo e Naska. La produzione, mostrata al Giffoni Film Fest, riflette sul valore della resilienza attraverso un racconto fatto di musica, errori e rinascita personale.
Chi è Lillo e la genesi del progetto
Lillo, protagonista e produttore, ha portato nel film la sua passione per la musica, iniziata in giovanissima età. Racconta di aver suonato in un gruppo rock a quindici anni, “quando indossavo un giubbetto di pecora che lo faceva sentire particolarmente a suo agio sul palco”. Quell’esperienza giovanile ha influito sul modo in cui ha affrontato il ruolo di Bruno, il chitarrista caduto in disgrazia interpretato nel film. La collaborazione con Greg e la partecipazione a spettacoli nelle carceri, dove Lillo è stato almeno cinque volte, ha aggiunto spessore alla sua interpretazione, permettendogli di toccare con mano la fragilità umana in un contesto spesso ignorato dai media. Questi incontri lo hanno convinto dell’importanza di raccontare storie legate alla possibilità di rinascita attraverso gli affetti e la musica.
Trama e temi al centro di tutta colpa del rock
Il film narra la storia di Bruno, un uomo segnato da bugie, egoismo e assenze familiari. Dopo una serie di errori che lo conducono in carcere, si trova in un luogo apparentemente senza vie d’uscita. Qui, sorprendentemente, riceve un’opportunità: fondare una band con altri detenuti per entrare nel Roma Rock Contest. Il premio in palio rappresenta per lui la speranza di mantenere una promessa alla figlia, Tina, portandola negli Stati Uniti per un tour dedicato al rock. La vicenda inscena un percorso di crescita e di recupero dal passato, dove la musica emerge come motore di cambiamento e occasione di riavvicinamento umano. Il ritratto dei personaggi è vivido, mostrando la complessità delle dinamiche in carcere e il modo in cui l’amore e l’arte riescono a interrompere il ciclo della solitudine e della caduta.
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L’importanza della musica nella resistenza e nel recupero
Lillo ha raccontato un episodio recente della sua vita che lega la musica all’energia vitale e alla guarigione. Durante un ricovero prolungato per Covid con terapia intensiva, ha ascoltato per molte ore musica rock intensa e ritmata. “Dopo tre giorni ho avuto una reazione positiva e il medico mi ha spiegato che quell’energia musicale ha avuto un effetto sui miei anticorpi, agendo quasi come un fattore chimico nel mio recupero”. Questo episodio conferma sul piano personale ciò che il film mette in scena: la musica ha un potere concreto nel muovere emozioni e risposte fisiche. Anche nel film l’elemento sonoro rappresenta una spinta decisiva per i protagonisti a reagire alle difficoltà.
Come Andrea Jublin vede carcere e relazioni
Andrea Jublin, al timone della regia, ha voluto raccontare la forza delle relazioni affettive in un luogo che limita la libertà ma apre a nuovi orizzonti di speranza. Il carcere, nell’opera, è il contesto estremo dove si intrecciano le storie di solitudini che in un primo momento sembrano incomunicabili. Grazie alla musica e al legame emotivo fra i detenuti, emerge un messaggio chiaro: “anche nel posto più chiuso e riconosciuto come brutto, l’amore può salvare”. Il regista sottolinea che oggi ci sono segnali di apertura verso condizioni più umane nelle carceri, e che questo tema è di grande attualità. Le relazioni diventano così il cuore della resilienza, il motivo per cui si può trovare un senso e persino rinascere.
Naska: tra musica, cinema e prima esperienza sul set
Naska ha definito l’esperienza sul set un’occasione unica che ha unito due passioni, quella per la musica e quella per il cinema. Fan accanito della settima arte, va al cinema quasi ogni settimana e “non riesco a dormire se non vedo almeno un film di sera”. Per lui la partecipazione alla pellicola è stata un’esordio un po’ agitato, soprattutto per la prima volta davanti alla cinepresa, ma ha subito trovato un clima di lavoro collaborativo grazie agli attori e al regista. L’intensità delle riprese e il confronto con attrici come Carolina Crescentini l’hanno coinvolto profondamente. Racconta di aver vissuto una scena in cui doveva reggere il confronto senza parlare, intimidito dalla presenza magnetica della collega che interpretava la direttrice del carcere.
Il cast e la coralità delle interpretazioni
Il cast di tutta colpa del rock è formato da interpreti che portano al film una coralità necessaria per rendere credibile l’ambiente carcerario e le sue relazioni. Carolina Crescentini interpreta la direttrice, figura di autorità che emergendo con un ruolo severo crea un equilibrio narrativo e drammatico. Al suo fianco lavorano Maurizio Lastrico, Valerio Aprea, Massimo De Lorenzo, Agnese Claisse, Massimo Cagnina e Sofia Panizzi. Tutti contribuiscono a delineare un mondo complesso, dove ogni personaggio vive un piccolo o grande conflitto con il proprio passato e cerca una via d’uscita attraverso la musica e gli affetti. La forza del film sta proprio in questo equilibrio tra individualità e interazione sociale in un contesto limitativo come la detenzione.