La decisione del consiglio di stato di rigettare l’istanza cautelare presentata da regione Lombardia sul divieto di caccia su 475 valichi montani ha acceso nuove discussioni sulle conseguenze di questa misura per il territorio e la fauna. Il dibattito si concentra soprattutto sulla gestione degli ungulati e il rischio legato alla diffusione della peste suina africana nel settore suinicolo locale.
Il divieto di caccia e la decisione del consiglio di stato
Il consiglio di stato, con un’ordinanza, ha respinto la richiesta di regione Lombardia di sospendere temporaneamente il divieto di caccia imposto su 475 valichi montani. Questa misura, introdotta da una sentenza giurisdizionale, rimane quindi in vigore e la sua validità sarà discussa nel merito il 9 ottobre. La regione aveva fatto istanza di carattere cautelare in attesa del pronunciamento definitivo, misura che non è stata accolta.
L’ordinanza del consiglio di stato si basa su valutazioni che riguardano gli elementi forniti dalle parti e verifica l’assenza di condizioni per un provvedimento provvisorio in attesa del giudizio finale. Per questo, la regione è chiamata a sostenere la propria posizione nel processo che arriverà nelle prossime settimane. Nel frattempo la sospensione del divieto non è stata concessa.
Leggi anche:
La posizione di regione Lombardia e le preoccupazioni sull’impatto ambientale e sociale
Alessandro Beduschi, assessore regionale all’Agricoltura, sovranità alimentare e foreste, ha espresso la posizione ufficiale di regione Lombardia in merito alla decisione del consiglio di stato. Il rappresentante regionale riconosce la competenza della magistratura ma sottolinea come il divieto di caccia coinvolga una responsabilità che è anche sociale, ambientale e territoriale.
Il divieto riguarda in modo particolare la caccia agli ungulati, come i cinghiali, che hanno un peso rilevante nell’ecosistema montano. Beduschi ribadisce che la caccia, entro i limiti di legge, è un’attività lecita e regolata e la sua limitazione su così vasti territori rischia di penalizzare chi pratica questa attività in modo corretto.
Secondo la regione, questo blocco va contro la gestione necessaria della fauna selvatica, fondamentale soprattutto in relazione alla diffusione di malattie come la peste suina africana. Dall’azienda agricola ai tecnici, molte figure vedono nell’attività venatoria un mezzo per contenere gli effetti negativi di un eccesso di fauna che rischia di alterare l’equilibrio ambientale.
Il rischio sanitario legato alla peste suina africana e l’importanza del controllo della fauna
Regione Lombardia evidenzia come il divieto di caccia possa complicare la lotta alla peste suina africana, una malattia che da anni rappresenta una minaccia grave per la filiera suinicola regionale e italiana. La Lombardia ospita oltre la metà degli allevamenti di suini del paese, in particolare nelle aree limitrofe ai valichi montani dove il controllo della fauna selvatica è cruciale.
La presenza di cinghiali infetti o portatori della malattia può portare rapidamente alla contaminazione degli allevamenti. Controllare la popolazione degli ungulati nelle zone più vulnerabili rimane quindi una priorità per evitare danni economici e sanitari estesi. L’assessore regionale sottolinea che negare l’attività di contenimento potrebbe facilitare la diffusione del contagio, anche verso regioni confinanti con Lombardia.
Nella motivazione dell’ordinanza, il consiglio di stato ha osservato che non esistono prove certe della presenza di cinghiali infetti nei valichi su cui è stato imposto il divieto. Questa valutazione, per la regione, non tiene conto del rischio che infezioni latenti o non ancora identificate possano comunque diffondersi da quelle aree.
Implicazioni territoriali e rapporto con le regioni confinanti
Il divieto di caccia in queste zone montane non coinvolge solo aspetti sanitari ma anche conseguenze dirette per il territorio. Regione Lombardia sottolinea che evitare il controllo degli ungulati può avere ripercussioni oltre i confini regionali. I valichi montani rappresentano un passaggio naturale per la fauna selvatica e un potenziale veicolo di trasmissione della peste suina africana.
In questo senso, la mancata attività venatoria sui valichi può favorire la migrazione di cinghiali infetti verso altre regioni o paesi, complicando la gestione a livello interregionale e nazionale. La regione evidenzia la necessità di una responsabilità condivisa per proteggere non solo le produzioni locali ma anche i territori limitrofi.
Infine, una parte importante della discussione riguarda il bilanciamento tra diritti dei cacciatori e la tutela ambientale e sanitaria. Regione Lombardia ribadisce la legittimità e la regolamentazione dell’attività venatoria, riconoscendo al contempo la complessità della gestione della fauna selvatica in un contesto che coinvolge più aspetti e territori.
Il 9 ottobre sarà una data chiave, con la decisione del consiglio di stato che definirà definitivamente le misure su questi valichi e il futuro della caccia in queste aree. Nel frattempo, il dibattito sulle scelte adottate resta aperto e incerto.