Il caso di Thiago Elar e la diffusione dei disturbi alimentari tra i giovani in Italia nel 2025

Il caso di Thiago Elar e la diffusione dei disturbi alimentari tra i giovani in Italia nel 2025

La morte di Thiago Elar a Treviglio riaccende l’attenzione sui disturbi alimentari in Italia, che causano migliaia di decessi ogni anno e richiedono diagnosi precoce, supporto familiare e interventi multidisciplinari.
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L'articolo riflette sulla gravità dei disturbi alimentari in Italia, evidenziando l'importanza di una diagnosi precoce e di un approccio integrato tra famiglia, scuola e professionisti per prevenire conseguenze spesso irreversibili. - Gaeta.it

La morte di Thiago Elar a Treviglio ha spinto a riflettere nuovamente sui disturbi alimentari che colpiscono molti giovani in Italia. Il caso, diventato virale sui social, mostra quanto ancora siano sottovalutate le avvisaglie di condizioni gravi come l’anoressia, che continua a provocare numerose vittime ogni anno. Tra le cause principali di mortalità giovanile, i disturbi alimentari aggiungono una sfida sanitaria e sociale che richiede più attenzione e interventi mirati.

Numeri e conseguenze dei disturbi alimentari in italia

In Italia, ogni anno circa 3.000 persone muoiono a causa di disturbi alimentari come anoressia e bulimia, dati che nel periodo della pandemia hanno raggiunto punte di circa 5.000 decessi. Questi disturbi rappresentano una delle prime cause di morte tra i giovani, insieme agli incidenti stradali e alla violenza. A differenza di queste ultime, la mortalità legata ai disturbi alimentari si manifesta dopo un lungo periodo, spesso accompagnata da sintomi trascurati o banalizzati dalla società e dagli stessi pazienti.

La difficoltà nel riconoscere tempestivamente i segnali porta molte persone ad arrivare ai centri di cura in condizioni fisiche e psicologiche molto compromesse. La carenza di interventi precoci aggrava la prognosi, aumentando la probabilità di conseguenze gravi e permanenti a livello organico e mentale. La scarsa informazione sociale e il pregiudizio intorno a questi disturbi complicano il cammino verso una diagnosi e una presa in carico efficaci.

L’anoressia come danno reversibile solo se affrontato tempestivamente

Lo psichiatra e psicoanalista Leonardo Mendolicchio paragona l’anoressia a un tumore perché, se prolungata nel tempo, provoca danni irreversibili sia al corpo che alla mente. La malnutrizione severa altera il funzionamento cerebrale, generando effetti devastanti e difficili da invertire quando la malattia è cronica. Per questo motivo, rende indispensabile intervenire nei primi stadi del disturbo.

Mendolicchio spiega che una diagnosi precoce e un trattamento adeguato consentono di limitare i danni e favorire un recupero più completo. Alcune storie di giovani che si sono curati confermano che la guarigione è possibile, ma solo se l’anoressia non rimane ignorata o nascosta troppo a lungo. La rapidità nella risposta assistenziale crea le condizioni per bloccare l’aggravarsi della malattia, riducendo il rischio di esiti fatali o invalidanti.

Approcci terapeutici e ruoli di famiglia e scuola nella cura

Non esistono farmaci mirati che risolvano direttamente i disturbi alimentari. Il trattamento si basa su un insieme di strategie che richiedono la collaborazione di più figure professionali, familiari e sociali. La somministrazione di psicofarmaci può aiutare a ridurre alcuni sintomi o complicanze psichiatriche, ma da sola non basta a guarire.

La psicoterapia riveste un ruolo chiave nella ricostruzione del rapporto con il cibo e il corpo, così come la rieducazione alimentare volta a stabilire abitudini sane. Famiglia e scuola possono esercitare un’influenza rilevante. Un ambiente di supporto e comprensione facilita l’accettazione del trattamento da parte dei giovani, che spesso si identificano con la malattia in modo profondo e rifiutano la cura.

Inoltre, la società contemporanea genera ansia e insicurezza legate all’immagine corporea. L’esposizione costante a influencer e norme estetiche irrealistiche contribuisce a disturbi come l’anoressia, l’autolesionismo e il ritiro sociale, noto come hikikomori. Affrontare queste problematiche richiede una rete di supporto che coinvolga non solo i medici, ma anche famiglie, educatori e comunità.

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