Il 66,5% dei pazienti con mielofibrosi indipendenti dalle trasfusioni dopo trattamento con momelotinib in italia

Il 66,5% dei pazienti con mielofibrosi indipendenti dalle trasfusioni dopo trattamento con momelotinib in italia

Momelotinib, farmaco orale inibitore di Jak, riduce la dipendenza da trasfusioni e migliora anemia e splenomegalia nei pazienti con mielofibrosi, come evidenziato dagli studi Simplify-1 e Momentum presentati a Eha 2025 a Milano.
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Il momelotinib, nuovo inibitore orale di Jak, migliora anemia e splenomegalia nella mielofibrosi, riducendo la necessità di trasfusioni e migliorando la qualità di vita dei pazienti. - Gaeta.it

La mielofibrosi, malattia del midollo osseo con impatto grave su anemia e qualità della vita, ha oggi una nuova possibilità di cura. Momelotinib, un farmaco orale inibitore di Jak, offre risultati concreti nella riduzione della dipendenza dalle trasfusioni. Recenti studi clinici confermano l’efficacia di questo trattamento anche in pazienti già sottoposti ad altri farmaci simili. L’evento Eha 2025 a Milano ha dato visibilità ai dati aggiornati, vitali per chi segue l’evoluzione delle terapie per questa patologia.

I risultati dello studio simplify-1 sul momelotinib

Lo studio Simplify-1 ha analizzato l’effetto di momelotinib su pazienti con mielofibrosi osservando che dopo 24 settimane il 66,5% di essi non ha più avuto bisogno di trasfusioni di sangue. Questo dato emerge da un’analisi presentata durante il congresso europeo di ematologia svoltosi a Milano. Momelotinib agisce come inibitore orale delle chinasi Jak, bersaglio fondamentale nella progressione della malattia. L’effetto più significativo riguarda il controllo dell’anemia, una complicanza che spesso peggiora la condizione generale e limita le attività quotidiane.

Miglioramenti nei pazienti trattati precedentemente con inibitori Jak

Il farmaco ha mostrato risultati incoraggianti anche nei pazienti che avevano ricevuto in precedenza altri inibitori Jak, come evidenziato dallo studio Momentum. Qui momelotinib ha migliorato sintomi legati alla splenomegalia e la gestione dell’anemia, facendo segnare progressi sia nella riduzione dell’ingrossamento della milza sia nella qualità di vita. Questi dati supportano l’uso di momelotinib come terapia di riferimento per chi convive con questa forma di tumore ematologico, specie per chi necessita di soluzioni più incisive oltre ai trattamenti tradizionali.

Caratteristiche e progressione della mielofibrosi: il punto di vista di esperti

La mielofibrosi è un tumore raro del sangue, che in Italia colpisce circa 350 persone ogni anno, principalmente tra i 60 e 70 anni. Francesco Passamonti, ematologo del Policlinico di Milano, chiarisce come la malattia si sviluppi in fasi distinte. La prima fase, definita precoce o pre-fibrotica, si caratterizza per un danno iniziale al midollo osseo senza la presenza della fibrosi. La fase avanzata coincide con la fibrosi midollare e il rilascio di cellule staminali immature nel sangue, che migrano e si accumulano in milza e fegato.

Queste alterazioni portano sintomi tipici come anemia e splenomegalia, quest’ultima evidenziata da un ingrossamento palpabile della milza. In un 10-15% dei casi, la malattia può trasformarsi in una leucemia mieloide acuta, rendendo la situazione più complessa. La progressione, molto variabile tra i pazienti, limita spesso le normali attività quotidiane. Camminare o salire le scale diventano faticosi, complicazioni aggravate dalla grave astenia e dalla dipendenza da trasfusioni di sangue.

Anemia nella mielofibrosi e impatti sulla qualità della vita

L’anemia rappresenta una delle complicazioni più difficili da gestire nella mielofibrosi. Al momento della diagnosi, circa il 40% dei pazienti presenta una forma moderata o severa di anemia, ma quasi tutti affrontano questa condizione nel corso del tempo. Questa perdita di globuli rossi necessari a trasportare l’ossigeno riduce l’energia e la resistenza fisica, causando stanchezza intensa e compromissione delle funzioni quotidiane.

Il ricorso alle trasfusioni diventa spesso imprescindibile, ma comporta un impatto negativo sulla qualità di vita. I pazienti trasfusion-dipendenti mostrano una sopravvivenza più bassa rispetto a chi mantiene livelli ematici autonomi. La gestione dell’anemia oltrepassa quindi la semplice cura medica e tocca numerosi aspetti del benessere, dalla capacità di svolgere attività semplici fino alla partecipazione sociale. Avere un’alternativa terapeutica che limiti la dipendenza trasfusionale diventa quindi un obiettivo importante per medici e malati.

Le terapie attuali e il ruolo emergente di momelotinib

Il trapianto di midollo osseo rappresenta l’unica forma potenzialmente curativa della mielofibrosi, ma si tratta di un intervento riservato a pochi pazienti, generalmente under 70, data la procedura complessa e i rischi elevati. Per la maggior parte, la terapia mira a controllare sintomi e complicazioni con farmaci specifici come gli inibitori di Jak. Momelotinib si distingue per la sua somministrazione orale giornaliera, facilitando l’adesione e la gestione del trattamento.

Rispetto ai precedenti inibitori, momelotinib migliora non solo la splenomegalia ma anche l’anemia, riducendo la necessità di trasfusioni. Questo effetto incide positivamente sul carico di cure e sulla qualità di vita, aspetto decisivo per pazienti in condizioni fragili. La gestione simultanea di sintomi e anemia lo rende una risorsa significativa nella terapia della mielofibrosi, combinando comodità d’uso e impatto clinico rilevante.

Nuovi dati dal congresso eha rafforzano i benefici di momelotinib

I recenti dati presentati all’Eha sottolineano come l’utilizzo precoce di momelotinib in pazienti con mielofibrosi e anemia migliori le probabilità di raggiungere livelli di emoglobina sopra 10 g/dL. Questo parametro si associa a una maggiore sopravvivenza globale, elemento cruciale per valutare l’efficacia terapeutica. L’indipendenza dalle trasfusioni, con o senza controllo della splenomegalia, si conferma un indicatore importante di prognosi favorevole.

Gli specialisti riconoscono il momelotinib come un’opzione affidabile per rallentare gli effetti della malattia sulle funzioni ematiche e sugli organi coinvolti. La possibilità di intervenire prima che l’anemia peggiori aiuta a mantenere condizioni generali migliori, riducendo il peso delle cure di supporto e aumentando le capacità residue del paziente. Questi risultati offrono un quadro più chiaro sull’importanza di personalizzare e anticipare l’intervento terapeutico nelle fasi iniziali della malattia.

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