Le nuove tariffe doganali annunciate dall’amministrazione Trump rischiano di modificare profondamente i flussi commerciali tra Italia e Stati Uniti. L’introduzione del 30% di dazi su una vasta gamma di prodotti potrebbe colpire soprattutto alcune regioni italiane, provocando un effetto a catena che investe anche l’economia interna. Gli scenari tracciati dall’Ufficio studi della Cgia parlano di un possibile danno economico complessivo fino a 35 miliardi di euro all’anno, dovuto sia alle tariffe dirette sia a conseguenze indirette, come la rivalutazione dell’euro e l’aumento del costo delle materie prime.
L’impatto diretto e indiretto dei dazi sulle esportazioni italiane
L’inasprimento delle misure doganali imposto da Washington impone un costo aggiuntivo sui beni esportati verso gli Stati Uniti. Le regole, che puntano a colpire soprattutto acciaio, alluminio e prodotti collegati, rischiano di estendersi presto ad altri settori come i mezzi di trasporto e i componenti auto, cruciali per il tessuto produttivo italiano.
Oltre al maggior prezzo imposto dai dazi, si prevede che la valuta europea possa rafforzarsi ulteriormente proprio per via delle tensioni commerciali. Questo rafforzamento dell’euro, benché sembri positivo per il potere d’acquisto, riduce la competitività dei prodotti italiani sul mercato globale. Inoltre, la volatilità dei mercati finanziari potrebbe crescere, alimentando un clima di incertezza che pesa soprattutto sui piani di investimento delle imprese esportatrici.
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Infine, le materie prime su cui si reggono molte filiere industriali potrebbero diventare più costose, dando una doppia mazzata alla produzione che esporta.
Stime economiche e conseguenze
Secondo le stime di Cgia, l’effetto combinato di questi fattori potrebbe causare perdite fino a 35 miliardi di euro all’anno, un valore paragonabile alle risorse di una legge finanziaria nazionale. La stima mette in evidenza il peso che le criticità commerciali potrebbero assumere per l’economia italiana, spingendo a riflettere sui danni legati a politiche protezionistiche più aggressive.
Il Mezzogiorno tra le aree più vulnerabili alle nuove barriere commerciali
Guardando alle conseguenze per aree geografiche, la situazione appare particolarmente difficile per il Sud Italia. Qui la specializzazione produttiva è meno diversificata rispetto al resto del Paese e questo rende molte regioni più sensibili a sconvolgimenti come il rialzo dei dazi.
Il mercato statunitense rappresenta un cliente importante per diversi settori, ma se i vincoli commerciali aumentano, territori dove pochi settori trainano quasi tutta l’export rischiano di subire un impatto più grave. Il Mezzogiorno, infatti, dipende principalmente da alcuni comparti come la raffinazione petrolifera o materiali chimici. Anche un piccolo aumento dei costi sulle merci esportate può tradursi in una perdita significativa di competitività e di fatturato per le aziende locali.
Indice di diversificazione regionale
L’Ufficio studi della Cgia ha misurato l’indice di diversificazione delle esportazioni per singola regione. Questo indicatore valuta quanto il totale dell’export regionale si concentri nei primi dieci gruppi di prodotti venduti all’estero. Un valore alto significa che l’economia regionale fa leva su pochi settori, con un rischio maggiore di essere colpita da cambiamenti nelle barriere commerciali.
Al contrario, un indice basso indica che l’export è distribuito su molti prodotti, offrendo una rete di sicurezza più ampia in caso di turbolenze.
Le regioni del Sud più esposte ai rischi dei dazi
I dati emersi confermano che la Sardegna è la regione con l’indice di diversificazione più alto a livello nazionale, pari al 95,6%. Questo risultato mostra come l’export sardo sia quasi interamente legato alla raffinazione del petrolio, esponendola fortemente a qualsiasi modifica delle condizioni commerciali.
Seguono Molise, con 86,9%, che fa affidamento in particolare sui prodotti chimici, materie plastiche, gomma, autoveicoli e prodotti da forno, e Sicilia con un indice pari all’85%, dove la raffinazione petrolifera è il settore dominante.
Solo la Puglia, tra le regioni meridionali, mostra una diversificazione dell’export più ampia, con un valore dell’indice pari al 49,8%. Questo posiziona la regione al terzo posto a livello nazionale tra quelle meno vulnerabili ad eventuali nuove imposizioni doganali su prodotti aggiuntivi.
L’alta concentrazione di pochi prodotti rende il tessuto economico di molte province del Sud più fragile. La dipendenza da singoli settori amplifica gli effetti negativi sulle esportazioni legati ai dazi, mettendo a rischio il volume di vendite verso gli Stati Uniti e altri mercati influenzati dalle decisioni di Washington.
Le regioni più resilienti alle nuove sfide commerciali
Oltre al Sud, alcune regioni del Centro-Nord presentano indicatori di diversificazione più bassi, un segnale di un’economia esportatrice distribuita su più prodotti. Lombardia , Veneto , Trentino Alto Adige , Emilia Romagna e Piemonte mostrano così una tenuta maggiore, potendo contare su produzioni variegate.
Queste regioni potrebbero risentire dei dazi in modo meno pesante. L’esportazione di più settori limita la dipendenza da poche categorie merceologiche. Per esempio, Emilia Romagna e Piemonte hanno economie forti in molti comparti dell’industria meccanica, agroalimentare e chimica. Anche Lombardia e Veneto mostrano una base produttiva ampia, bilanciando rischi diversi.
Differenze territoriali nell’impatto dei dazi
La differenza tra territori mette in evidenza come le nuove imposizioni tariffarie agiscano in modo differente sulla struttura economica del Paese. Le aree con un export meno concentrato e ben distribuito mostrano una maggiore capacità di assorbire gli shock, mentre regioni dove domina un solo settore subiscono colpi più duri.
L’ipotesi di un’estensione dei dazi su altri prodotti, oltre acciaio e alluminio, si trasforma quindi in un allarme per molte realtà regionali, con rischi concentrati soprattutto nel Mezzogiorno. Mancano meno di 2 anni al 2025, e nel frattempo il sistema italiano osserva con attenzione l’evoluzione delle scelte commerciali statunitensi, che già provocano qualche turbamento dentro e fuori i confini nazionali.