La cronaca di un paziente che ha trovato gravi difficoltà nel ricevere cure adeguate al pronto soccorso di Villa Sofia mette in luce le problematiche esistenti nel sistema sanitario. La figlia della vittima ha raccontato dettagli inquietanti riguardo alle condizioni del padre, il quale, nonostante fosse in buona salute al momento della sua ammissione, ha subito una drammatica deteriorazione nel corso del suo soggiorno in ospedale. Questo caso solleva interrogativi seri su come il sistema gestisca i pazienti in situazioni critiche.
La testimonianza della figlia
Nel racconto della figlia, emergono dettagli preoccupanti sulle condizioni in cui il padre è stato costretto a riposare nel pronto soccorso. “Mio padre è arrivato al pronto soccorso di Villa Sofia con una frattura alla spalla provocata da una caduta in casa il 21 dicembre”, ha affermato la donna. La situazione, già preoccupante, è andata aggravandosi nel corso del trattamento. Secondo quanto riferito, fino al 24 dicembre, il padre è rimasto in una lettiga, nel corridoio del pronto soccorso, senza essere trasferito in un’adeguata area di ortopedia.
La figlia ha sottolineato che le segnalazioni alla direzione dell’ospedale per la mancanza di un lettino non sono servite a migliorare la situazione. È emerso che i medici stessi avevano comunicato che non c’era posto disponibile. “Solo il 24 è stato portato in reparto. Ci hanno detto che c’era un turno per l’operazione”, continua la figlia, evidenziando la sensazione di abbandono e l’inadeguatezza delle cure.
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Condizioni di salute in deterioramento
Purtroppo, la grave situazione del padre non ha ricevuto l’attenzione necessaria. La figlia ha espresso la sua preoccupazione per il fatto che l’uomo non potesse alimentarsi autonomamente a causa della fasciatura. Le sue segnalazioni alla struttura sanitaria sono state ignorate. “Sia il 22 che il 28 mio padre manifestava segni di confusione mentale”, ha raccontato, rivelando che all’uomo era stato imposto di rimanere legato al letto.
Gli avvenimenti successivi hanno aggravato un quadro già critico. Non appena la figlia si è accorta delle condizioni di suo padre, ha trovato evidenze che il personale sanitario non stava seguendo adeguatamente la sua salute. “Gli è stata data la febbre tardi, solo quando me ne sono accorta”, ha affermato, descrivendo come sia stato somministrato del paracetamolo solo dopo aver chiesto chiarimenti.
La discesa nella malattia e il tragico epilogo
La situazione del paziente ha toccato il suo punto più critico intorno al 30 dicembre, quando l’alimentazione è stata finalmente somministrata tramite flebo. Nel frattempo, i valori del sodio del paziente erano saliti in maniera preoccupante, arrivando fino a 178. Il personale medico, come riferito dalla figlia, ha comunicato l’insorgere di focolai polmonari, insieme a segni di polmonite bilaterale. La notizia non ha rassicurato affatto la figlia, che sapeva che il trasferimento in terapia intensiva non era stato previsto.
Il 3 gennaio, la situazione di salute del padre è peggiorata ulteriormente. “Ci hanno detto che non riuscivano a far rientrare i valori del sodio e che era lecito aspettarsi un esito infausto”, ha detto, evidenziando una mancanza di azioni tempestive nel fronteggiare la grave emergenza sanitaria. Nonostante i segnali allarmanti, il paziente è rimasto in reparto e non è stato trasferito in terapia intensiva. Il tragico esito si è concretizzato il 6 gennaio, quando la figlia ha ricevuto la notizia della morte del padre da un sanitario appena arrivato da Napoli.
Questa vicenda solleva importanti questioni sulla gestione dei pazienti in pronto soccorso e sull’attenzione ricevuta in determinati reparti, mettendo in evidenza le criticità che possono influenzare gravemente il decorso clinico degli assistiti.