Negli ultimi mesi la scena della ricerca scientifica negli Stati Uniti ha subito cambiamenti drastici che stanno mettendo in difficoltà molti studiosi, soprattutto chi proviene dall’estero. Tra i maggiori colpiti figurano i ricercatori italiani impegnati in università e centri di ricerca americani. Le misure restrittive del governo americano hanno congelato fondi e bloccato progetti, inducendo tanti scienziati a riflettere su un possibile ritorno in italia, pur di fronte a sfide non facili nel sistema accademico nazionale.
La crisi dei finanziamenti e i licenziamenti nel mondo della ricerca americana
Da circa quattro mesi, il panorama della ricerca scientifica negli Stati Uniti è segnato da tagli drastici e chiusure forzate di progetti. L’amministrazione Trump ha imposto blocchi su diversi temi ritenuti “scomodi”, come il cambiamento climatico, i vaccini e le malattie trasmesse sessualmente. Questo ha causato una riduzione dei posti di lavoro soprattutto per giovani ricercatori stranieri.
Il caso di manuela girotto
Manuela Girotto, ingegnere ambientale laureata a Padova, insegna all’università di Berkeley e monitora il ciclo dell’acqua tramite satelliti. Lei racconta di vivere con la preoccupazione costante di perdere i finanziamenti per il suo progetto sul clima. Un taglio significherebbe la fine del lavoro per il suo gruppo di cinque persone, incluso un ricercatore italiano che non ha cittadinanza Usa e quindi rischierebbe di dover tornare in patria. Situazioni simili hanno colpito almeno 600 giovani scienziati stranieri, secondo un’indagine dell’Associated Press.
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Il blocco dei progetti ambientali in africa occidentale
Un altro caso emblematico riguarda Viviana Maggioni, laureata al Politecnico di Milano, da poco alla George Mason University di Washington. Il suo gruppo lavorava a un sistema innovativo per prevedere le inondazioni in Africa occidentale. Questo progetto, basato su finanziamenti della NASA, è stato interrotto e non riceverà nuovi fondi dopo settembre.
Il taglio alle ricerche ambientali che coinvolgono paesi in via di sviluppo segna una svolta rispetto agli anni precedenti, quando quel tipo di ricerca era sostenuto dagli Usa. Per studenti internazionali interessati a queste tematiche, la scelta di venire negli Stati Uniti diventa meno attrattiva. Maggioni denuncia anche le difficoltà familiari di chi vuol tornare in italia, dove trovare due occupazioni equivalenti a quelle americane può essere complesso.
I temi di ricerca che non si possono più affrontare apertamente
Non solo i progetti già avviati subiscono arresti, ma addirittura molte proposte di ricerca nuove vengono scartate in automatico se si nominano parole “vietate”. Roberto Chiarle, medico e docente tra Harvard e Torino, spiega che termini come “vaccini” o “RNA” sono ostili a molte procedure di finanziamento. Software automatici escludono proposte che trattano questi argomenti, mettendo a dura prova la libertà scientifica.
Harvard ha resistito all’imposizione di limitazioni, ma ha comunque subito il congelamento di 2,2 miliardi di dollari in fondi federali. Negli ultimi mesi anche una serie di investimenti programmati, come l’acquisto di strumenti o la costruzione di nuovi laboratori, sono stati fermati. Nel campo oncologico, un progetto su vaccini previsto per l’inizio del 2025 è stato rimandato più volte, senza chiari motivi.
Il controllo e la censura impliciti nel settore
L’atmosfera non riguarda soltanto i bandi per la ricerca, ma si estende anche alla vita quotidiana accademica. Si teme di parlare apertamente di problemi ambientali nelle lezioni universitarie, perché potrebbero esserci spiacevoli conseguenze. La stessa Manuela Girotto ha segnalato episodi inquietanti, come la presenza di sconosciuti in aula o richieste di denunce contro chi promuove l’inclusione delle minoranze da parte della NASA.
Un ricercatore medico anonimo ha paragonato questa situazione a un clima di maccartismo, con un controllo quasi poliziesco e la paura diffusa di esprimersi liberamente. Alcuni colleghi argentini comparano la situazione attuale negli Stati Uniti alla loro dittatura militare degli anni Settanta. Il senso di insicurezza invade il settore scientifico a cui gli Usa avevano storicamente dato grandissimo impulso.
Le difficoltà e le speranze del ritorno in italia
Molti ricercatori, non solo italiani, stanno ragionando sul ritorno in italia. Il fisico Roberto Battiston dell’università di Trento ha promosso il manifesto “ReBrain”, sottoscritto da oltre mille scientifici. Il documento invita il governo e le istituzioni a creare opportunità per chi decide di tornare dall’estero dopo esperienze in Usa. L’obiettivo è far diventare l’Europa e l’italia destinazioni sicure e attrattive.
Il ministero dell’università ha previsto fondi per chi arriva dall’estero con un bando europeo in mano e incentivi fiscali per il rientro. Il problema rimane però la scarsità di posti stabili nelle università. L’attività di reclutamento si è rallentata, anche per la fine di alcune risorse del Pnrr. Molti giovani ricercatori si troveranno presto a competere per poche cattedre disponibili.
Il quadro attuale della ricerca in italia e le possibili prospettive
Viviana Maggioni osserva come in italia la situazione scientifica sia migliorata negli ultimi anni. I fondi europei e nazionali sono cresciuti e il livello delle ricerche è più alto rispetto al passato. Il ritorno di molti studiosi è visto come una necessità crescente, ma il sistema deve essere pronto ad accoglierli.
Nonostante le differenze salariali pesino, molti ricercatori sono disposti a trasferirsi per lavorare in un ambiente più stabile e meno ostile. La consapevolezza di una crisi della scienza negli Stati Uniti s’incrocia con un’aspirazione a ricostruire qui una comunità accademica forte e viva. Restano ancora diversi ostacoli organizzativi e burocratici da superare prima che questa trasformazione possa concretizzarsi.