Gia Coppola, regista di 38 anni, è protagonista di un percorso artistico segnato da forti legami familiari con una delle dinastie più importanti del cinema americano. Nipote di Francis Ford Coppola, autore di capolavori come “Il padrino” e “Apocalypse Now”, e nipote anche di Sofia Coppola, regista di “Lost in Translation” e “Il giardino delle vergini suicide”, ha costruito il proprio spazio lontano dalle attenzioni sulla parentela. Nel 2023 ha partecipato al Filming Italy Sardegna Festival, anticipando l’ospitata romana a “Il Cinema in Piazza” per presentare il suo esordio alla regia, “Palo Alto”, uscito già nel 2013. Nel 2024 ha diretto “The Last Showgirl”, film con protagonista Pamela Anderson, un ritratto di Las Vegas e delle sue figure dimenticate.
Un debutto giovane e una carriera legata a immagini e fotografia
Gia Coppola ha diretto il suo primo film a 25 anni. “Palo Alto” nasce da un progetto low budget, realizzato con un gruppo di amici e studenti di cinema. La scelta della regia non è stata casuale: Gia racconta di essersi avvicinata all’arte in modo naturale. A scuola non brillava né era a suo agio nel recitare, ma trovava conforto nella fotografia. “Ho iniziato a scattare e lì ho capito che potevo raccontare storie con gli occhi e il mio punto di vista”, ha detto durante il Festival in Sardegna. Da quella passione è nata l’idea di girare film. Tutta la sua opera si caratterizza per lavorazioni rapide e contenute nei costi. Un esempio è “The Last Showgirl”, girato in appena diciotto giorni, scelta che riflette una volontà precisa di restare vicina a un cinema fatto di concretezza e semplicità.
La pressione e l’eredità di essere una coppola
Essere una Coppola porta con sé un peso, ma anche delle aperture. Gia ricorda un’iniziale sensazione di pressione, legata al nome di famiglia e alle aspettative del pubblico o dell’industria. Quando ha cominciato con “Palo Alto”, però, lavorare con amici l’ha aiutata a distaccarsi da quell’eredità. Il lavoro creativo è diventato primo obiettivo senza troppe riflessioni sulle responsabilità imposte dal cognome. La scelta di un cinema indipendente, quasi nascosto, ha permesso a Gia di concentrarsi su ciò che desiderava raccontare, lontano dai riflettori e dai confronti con il passato glorioso dei parenti più noti. La sua posizione è quella di chi guarda avanti senza trascurare le radici, ma senza esserne prigioniera.
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Raccontare las vegas e l’età che passa, con pamela anderson protagonista
“La città che ho sempre amato”, così descrive Las Vegas Gia Coppola, che l’ha conosciuta durante gli anni universitari dedicati alla fotografia. Questa città diventa il set e il soggetto di “The Last Showgirl”, film che esplora il destino delle showgirl “messe da parte”, delle persone ai margini di un mondo fatto di luci e spettacolo. Pamela Anderson porta sullo schermo questo racconto di declino e solitudine, incarnando la protagonista in modo unico. Gia spiega che dopo averla incontrata ha percepito subito che il ruolo era suo, per autenticità e vissuto. Il film soffia così sulla malinconia che attraversa le vite degli ex protagonisti del palcoscenico, portando l’attenzione sul lato meno noto della scena di Las Vegas, fatta di persone che affondano nella nostalgia e nella fatica.
Malinconia e storie fuori posto: temi ricorrenti nella sua narrativa
I film di Gia Coppola sono attraversati da un sentimento di malinconia, anche se lei stessa non si definisce una persona malinconica. Tra le sue passioni ci sono gli amori non corrisposti e le vicende “fuori posto”, situazioni che rompono gli schemi e creano una tensione emotiva intensa. Questo tema, sostiene, coinvolge tutti, perché la malinconia è un sentimento universale capace di parlare a chiunque. Nei suoi lavori, quindi, non c’è solo l’osservazione delle crisi individuali, ma soprattutto la volontà di mostrare ciò che resta nascosto sotto la superficie delle esistenze comuni. Il suo punto di vista mette in risalto l’umanità dei personaggi, con le loro fragilità e illusioni.
La visione sul cinema contemporaneo e i progetti futuri
Gia Coppola non esclude il passaggio al formato seriale, anche se non è il suo approccio naturale. Sta leggendo la biografia di Vanderbilt, che avrebbe le caratteristiche per diventare una serie interessante, ma preferisce ancora i progetti pensati per avere un inizio e una fine ben definiti. Sul cinema del futuro, Gia spera di vedere più varietà nelle storie raccontate e nelle tecniche usate, insieme a una maggiore libertà per i registi. Critica i film con grandi investimenti economici, sempre più condizionati da algoritmi che guidano le scelte su cosa produrre. Vuole invece un cinema dove la creatività individuale abbia più spazio, senza seguire formule già stabilite.
Ispirazioni e modelli di riferimento nella sua carriera
Tra i registi che darebbero spunti a Gia Coppola c’è John Cassavetes, noto per il suo cinema intimo e di grande impatto emotivo. Cassavetes ha svolto un ruolo importante nei suoi ultimi lavori, fornendo esempi di come raccontare storie personali senza compromessi. Allo stesso tempo Gia ammira la zia Sofia Coppola, riconosciuta come una regista capace di unire stile e grazia, rimanendo fedele alla propria voce. “Il giardino delle vergini suicide” è uno dei film che considera meravigliosi per la sua capacità di creare atmosfere uniche. Infine menziona due altri nomi: Jean-Luc Godard e Paul Thomas Anderson, registi che rappresentano visioni diverse ma incisive, capaci di aprire nuovi orizzonti nella narrazione cinematografica.