Da quasi cinque anni rinchiuso nel carcere di rebibbia, gabriele bianchi ha scritto un libro per spiegare la sua versione dei fatti legati all’omicidio di willy monteiro duarte, avvenuto a colleferro nel settembre del 2018. Nel volume, disponibile in vendita online, bianchi si presenta come un innocente condannato da un processo che definisce mediatico. Il suo racconto mira a offrire uno sguardo diverso da quello emerso durante il dibattimento giudiziario e dall’attenzione pubblica che ha seguito il caso.
La testimonianza scritta in cella per chiarire i fatti
Gabriele bianchi ha scelto la scrittura come mezzo per comunicare direttamente la sua verità, lontano dai riflettori e dalle interpretazioni degli altri. Nato ad alatri e condannato a 28 anni di carcere, ha redatto il libro “la verità che nessuno vuole accettare” tra le mura di rebibbia. Nella prefazione afferma di non essere “un mostro senza anima” e di non aver ucciso nessuno. Per lui ciò che è accaduto in quei pochi secondi della notte tra il 5 e il 6 settembre 2018 a colleferro è stato un evento che ha cambiato radicalmente la sua esistenza.
Il testo consta di settanta pagine e si concentra sulle sue sensazioni, le emozioni e il peso di una condanna che considera ingiusta. Descrive come da quel giorno la sua vita sia segnata da rimpianti e da una profonda solitudine. Racconta di un mondo dentro e fuori dal carcere che si è dissolto, lasciandolo isolato, ma di aver trovato un punto di appoggio nello sguardo di suo figlio durante i colloqui. Il libro si rivolge a chi vuole sentire un punto di vista diverso da quello dominante sui fatti di colleferro.
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Il processo e la riduzione della pena in appello
All’origine della vicenda giudiziaria c’è l’omicidio di willy monteiro duarte, ventunenne di origini capoverdiane, pestato a morte nella notte tra il 5 e il 6 settembre 2018 durante un’aggressione di gruppo a colleferro, vicino roma. Gabriele bianchi e suo fratello marco erano stati condannati in primo grado all’ergastolo. In seguito, con il processo bis, la corte d’assise d’appello di roma ha ridotto la pena per gabriele, riconoscendo alcune attenuanti generiche già concesse in primo appello.
Nel corso del dibattimento, gabriele ha più volte espresso la sua volontà di fornire dichiarazioni spontanee per raccontare ciò che riteneva la sua verità. Ha sostenuto di essere stato condannato ancor prima che emergessero tutti i fatti e si è detto convinto dell’innocenza rispetto alla morte di willy. La sentenza di riduzione della pena non ha modificato la decisione sul fatto, ma ha tenuto conto di condizioni personali e attenuanti. Questo passaggio processuale è stato uno snodo importante per il suo percorso legale e personale.
Il duro cammino dentro e fuori dal carcere
Gabriele bianchi descrive in modo intenso come negli ultimi quattro anni abbia assistito al crollo di ciò che riteneva certo nella sua esperienza. Rapporti affettivi si sono spezzati e progetti personali sono svaniti, mentre i sogni si sono ridotti a ricordi sfocati. La sua realtà quotidiana nel carcere si presenta dura e implacabile, ma all’interno di quei muri ha trovato momenti di sollievo soprattutto durante gli incontri con il figlio.
Nel libro racconta di aver scoperto nella presenza del bambino uno stimolo a lottare, una ragione per cercare riscatto e possibilità di un futuro diverso, nonostante la situazione estrema. Il testo evita di costruire una favola, anche se si lascia aperto a una speranza di cambiamento e rinascita. La sua esperienza si presenta come un cammino di lezioni dure, fatte di errori e di sofferenze pagate a caro prezzo.
La narrazione offre uno spaccato crudo della condizione di chi vive recluso per fatti gravi, mostrando il lato umano dietro la condanna, tra rimpianti, attese e il desiderio profondo di una nuova occasione.
L’eco mediatica e il tentativo di farsi ascoltare
Dal giorno del fatto il caso di colleferro ha suscitato un’attenzione mediatica forte, coinvolgendo opinioni pubbliche e iniziative civili nel nome di willy monteiro duarte. Gabriele bianchi denuncia in più passaggi del libro una condanna ante litteram a livello di immagine e opinione.
Definisce il processo contro di lui non solo giudiziario, ma “mediatico”, suggerendo che l’esito fosse già scritto prima dell’esame approfondito delle prove e delle testimonianze. Questa percezione di ingiustizia si riflette nel tono con cui si presenta: un uomo che urla la sua verità da quasi cinque anni, convinto di non essere il mostro descritto alla stampa e nei dibattiti.
L’opera intende essere una risposta diretta a quel clima, un modo per far sentire una voce diversa rispetto a quella dominante. Il fatto che il libro venga venduto online testimonia anche un tentativo di raggiungere un pubblico ampio, al di fuori dei canali istituzionali e giudiziari, proponendo una versione del caso e della persona che solitamente resta nascosta dietro la narrazione ufficiale dei media.
Le pagine scritte in cella diventano così una forma di difesa morale e personale, ma anche uno specchio delle contraddizioni di un processo pubblico che ha lasciato segni profondi nella vita di chi è coinvolto.