La morte di Gianpaolo Demartis, 57 anni, originario di Bultei , ha acceso un dibattito sul ruolo del taser usato dai carabinieri durante il fermo a Olbia. Secondo la consulenza medico-legale della Procura di Tempio Pausania, l’uomo non è morto per l’effetto diretto della scarica elettrica, ma per un grave scompenso cardiaco dovuto a patologie pregresse e fattori aggravanti. L’inchiesta giudiziaria e la risposta sindacale evidenziano un intreccio complesso tra condizioni di salute, comportamento della vittima e uso delle misure di contenimento.
Le cause medico-legali della morte di Gianpaolo Demartis secondo il medico legale
L’autopsia sul corpo di Demartis è stata effettuata dal medico legale Salvatore Lorenzoni, nominato dalla Procura di Tempio Pausania. Dalla sua relazione emerge che il decesso non può essere attribuito direttamente alla scarica del taser. Il consulente ha evidenziato come la causa primaria sia uno scompenso cardiaco in una situazione di cardiopatia ischemica, aggravata dalla presenza di uno stent coronarico impiantato in precedenza all’uomo.
Un elemento fondamentale nella ricostruzione del quadro clinico è il ruolo svolto dall’assunzione di sostanze stupefacenti. Secondo Lorenzoni, gli effetti di queste droghe avrebbero innalzato la pressione di Demartis, causando una situazione di pericolo estremo per il suo cuore già indebolito. Questo ha portato all’arresto cardiaco fatale. L’uso del taser, pur essendo un evento drammatico e innescante, non è risultato l’elemento scatenante diretto del collasso.
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Le conclusioni medico-legali aprono dunque una strada diversa rispetto a una correlazione immediata fra intervento delle forze dell’ordine e morte dell’uomo. Resta però cruciale mantenere gli approfondimenti in corso, poiché la relazione ufficiale dell’autopsia completa è attesa entro circa 60 giorni.
Modalità dell’intervento con il taser e rilievi sugli eventi accaduti a Olbia
La sera dell’episodio, Gianpaolo Demartis si trovava in stato di agitazione a Olbia e aveva aggredito alcuni passanti. Per fermarlo, i due carabinieri intervenuti hanno usato il taser, uno strumento non privo di rischi ma previsto dal protocollo operativo per situazioni di questo tipo. L’arma elettrica infatti mira a immobilizzare momentaneamente una persona senza ricorrere a metodi più violenti.
Il procedimento di accertamento sulla sequenza dell’intervento, però, ha mostrato che benché la scarica abbia colpito Demartis, la causa ultima del suo collasso è legata a fattori interni al suo organismo. I due militari sono indagati per omicidio colposo, come atto dovuto, per chiarire la dinamica esatta e il rispetto delle procedure.
L’episodio ha richiamato l’attenzione sulla frequenza e sui rischi legati all’uso del taser da parte delle forze dell’ordine, strumento la cui funzione è gestire emergenze senza ricorrere a forme di coercizione fisica più invasive. Il fascicolo aperto dalla Procura vuole evitare facili conclusioni e accertare i confini di responsabilità tra condizioni cliniche pregresse e applicazione dell’arma.
Posizione sindacale e trattamento legale dei carabinieri coinvolti nel caso
Il Sindacato Indipendente Carabinieri ha preso posizione immediatamente al fianco dei due carabinieri coinvolti, nominando un proprio consulente medico legale oltre a una legale specializzata in diritto militare. Questo tipo di assistenza è previsto per affrontare ogni fase dell’indagine, nel tentativo di dimostrare la correttezza del comportamento dei militari.
Il SIC sottolinea come i casi di decesso legati in modo diretto all’uso del taser siano estremamente rari, e ribadisce che i carabinieri coinvolti abbiano seguito scrupolosamente le procedure previste dal protocollo operativo. La difesa punta quindi a chiarire che nell’intervento è stata rispettata la prassi e che l’esito tragico è da attribuire a cause sanitarie pregresse e aggravamenti dovuti all’assunzione di sostanze.
Il procedimento nei confronti degli agenti proseguirà con gli ulteriori accertamenti anticipati dall’autopsia, la cui relazione definitiva dovrebbe arrivare nelle prossime settimane. Nel frattempo, la vicenda continua a rappresentare un caso esemplare per riflettere sulle modalità d’impiego del taser nelle operazioni di controllo e sul rapporto tra protocolli di intervento e scenari sanitari complessi.
Approfondimenti e impatto dell’indagine Sull’uso del taser nelle forze dell’ordine italiane
Il caso di Gianpaolo Demartis ha rilanciato il dibattito sull’utilizzo del taser in Italia, adottato negli ultimi anni come uno strumento aggiuntivo per la gestione di situazioni di crisi. L’arma elettrica, seppure meno letale rispetto ad altri metodi, solleva questioni di sicurezza soprattutto in presenza di elementi clinici non evidenti al momento dell’intervento.
Le autorità giudiziarie e le forze di polizia stanno dunque rivalutando attentamente l’equilibrio tra la necessità di contenere comportamenti pericolosi e i rischi sanitari connessi. In effetti l’intervento con il taser diventa complesso quando rivolto a soggetti con problematiche cardiache o in stato alterato dall’assunzione di droghe.
La Procura di Tempio Pausania sta seguendo la vicenda con la cautela e l’attenzione del caso, raccogliendo dati medico-legali e testimonianze, per mettere a fuoco ogni elemento. La vicenda rappresenta un passaggio importante nella discussione sulla formazione del personale e la valutazione preventiva dei rischi nei fronti di intervento.
Il fatto che la morte non sia riconducibile direttamente al taser, ma a una serie di fattori concomitanti, dimostra quanto siano delicate certe situazioni. La complessità dell’accertamento medico-legale evidenzia una realtà fatta di molte sfumature, da considerare con attenzione, anche alla luce delle implicazioni per la sicurezza pubblica e la tutela dei diritti dei cittadini.