L’accordo firmato il 27 luglio 2025 in Scozia tra la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha fissato un tetto massimo del 15% sui dazi per la maggior parte delle esportazioni europee verso gli Usa, includendo l’olio d’oliva e altri prodotti agroalimentari. Questa intesa ha modificato un sistema precedente caratterizzato da dazi più alti e cumulativi, ma il compromesso rimane pesante per molte imprese italiane che guardano con preoccupazione al futuro del proprio mercato negli Stati Uniti. Qui l’olio extravergine di oliva svolge un ruolo fondamentale, visto che gli Stati Uniti sono il maggior importatore mondiale e un cliente strategico per l’Italia. Il settore si trova ora a dover affrontare i costi aggiuntivi provvisionali e una congiuntura economica complicata dalla debolezza del dollaro e dall’inflazione.
Accordo contro i dazi cumulativi ma con un limite al 15% per esportazioni europee negli Usa
Il 27 luglio 2025, a Edimburgo, Ursula von der Leyen e Donald Trump hanno raggiunto un’intesa per mettere un freno all’escalation dei dazi tra Europa e Stati Uniti. Il nuovo accordo introduce un tetto massimo del 15% sulle tariffe doganali per la stragrande maggioranza delle esportazioni agroalimentari europee verso l’America, un cambiamento rispetto al sistema precedente che prevedeva dazi cumulativi e a volte superiori, spesso addirittura più gravosi del nuovo limite. L’obiettivo politico era fermare lo scontro commerciale aperto e creare condizioni più prevedibili per gli scambi.
Tuttavia, per le realtà produttive italiane del settore agroalimentare, questo limite del 15% rappresenta una soglia che pesa comunque notevolmente sui margini di guadagno. Il presidente della Copagri Tommaso Battista ha definito l’accordo come un “compromesso al ribasso”, perché toglie le prospettive di una riduzione più netta delle tariffe. Le associazioni del comparto, come Legacoop Agroalimentare con il presidente Cristian Maretti, segnalano un diffuso malcontento che coinvolge tutti i prodotti “bandiera” dell’Italia, dall’olio d’oliva al pecorino fino al vino.
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L’entrata in vigore dell’accordo, nei primi giorni di agosto, ha modificato i riferimenti normativi e i costi aggiuntivi che le imprese dovranno sostenere per esportare in uno dei mercati più importanti del mondo, aggravando una situazione già complessa a causa delle tensioni valutarie e delle pressioni inflazionistiche presenti di fatto nel 2025.
Ruolo chiave degli Stati Uniti come maggiore importatore globale di olio d’oliva
Gli Stati Uniti si confermano il principale mercato extra-Unione europea per l’agroalimentare italiano. Il loro fabbisogno di olio d’oliva è molto elevato: importano il 95% di quanto consumano, vista una domanda interna in crescita, legata anche all’attenzione crescente verso alimenti considerati benefici per la salute. La qualità salutistica dell’olio extravergine viene riconosciuta come punto di forza inaspettato per l’export, ma il peso dei dazi limita la competitività.
Anna Cane, presidente del Gruppo olio d’oliva di Assitol, evidenzia come questo prodotto, comunemente definito una “spremuta di benessere”, dovrebbe essere inserito nella lista dei prodotti esenti da tariffe doganali statunitensi. Gli Usa sono in effetti già il secondo consumatore mondiale di olio d’oliva, con un fabbisogno annuo di circa 370mila tonnellate. Le previsioni indicano che entro il 2030 il loro consumo potrebbe superare persino quello dell’Italia stessa.
Questo scenario pesa molto sull’economia italiana. L’olio extravergine d’oliva è tra i primi prodotti colpiti da dazi nel mercato americano insieme al vino, con un aggravio di costi stimato sopra i 140 milioni di euro per l’olio e di oltre 290 milioni per il vino. Questi numeri mettono a rischio la redditività delle imprese che da sempre hanno investito sul mantenimento della qualità e autenticità dei prodotti Made in Italy.
La pasta di semola segue con dazi aggiuntivi per quasi 74 milioni, mentre i formaggi italiani, già soggetti a tariffe tra il 10% e il 15%, restano invece stabili. Nonostante questa struttura tariffaria, continua a emergere la preoccupazione di associazioni come Coldiretti e Filiera Italia per i primi mesi dell’applicazione dei dazi.
Calo delle esportazioni italiane di agroalimentare verso gli Usa e scenari economici preoccupanti
Il commercio agroalimentare italiano con gli USA fatica a reggere sotto i nuovi dazi. Coldiretti ha diffuso analisi sui dati Istat che mostrano come i primi tre mesi con dazi aggiuntivi al 10% abbiano ridotto le esportazioni Made in Italy verso gli Stati Uniti. A giugno 2025, il valore delle vendite è calato del 2,9% rispetto al periodo precedente.
Questo calo coincide con un quadro economico mondiale delicato, dominato dalla debolezza del dollaro e da un’inflazione non di poco conto, fattori che complicano l’attività commerciale. Il cambio valutario sfavorevole, sommato ai dazi fissi, alza i prezzi finali ai consumatori americani e abbassa la competitività dei prodotti italiani.
Nel contesto di una guerra commerciale aperta tra gli Stati Uniti e numerosi Paesi, che dal 6 agosto 2025 colpisce 92 nazioni con tariffe doganali tra il 10% e il 50%, l’accordo europeo-americano si presenta come una tregua. Ma lascia molti nodi irrisolti riguardo alla reciprocità, alle esenzioni per prodotti strategici e al rischio di deviazioni del commercio internazionale che potrebbero penalizzare produttori più efficienti.
La constatazione è chiara: pur evitando lo scontro totale, la nuova strategia tariffaria americana impone costi sociali ed economici consistenti alle aziende italiane del settore agroalimentare. A pagarne il prezzo principale sono soprattutto le produzioni di olio extravergine di oliva e vino, prodotti di punta del Made in Italy, che affrontano mesi difficili sul mercato più grande al mondo.