Cosa prevedono i quattro referendum sul lavoro dell’8 e 9 giugno 2025 e quali sono le principali critiche giuridiche

Cosa prevedono i quattro referendum sul lavoro dell’8 e 9 giugno 2025 e quali sono le principali critiche giuridiche

Il 8 e 9 giugno in Italia si vota su quattro referendum che modificano le norme sul lavoro, licenziamenti, contratti a termine e responsabilità negli appalti, con opinioni contrastanti di Franco Scarpelli e Pietro Ichino.
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Il 8 e 9 giugno in Italia si voterà su quattro referendum riguardanti il lavoro, con focus su licenziamenti, contratti a termine e responsabilità negli appalti, analizzati con opinioni contrastanti di due esperti giuslavoristi. - Gaeta.it

Il prossimo 8 e 9 giugno in Italia si vota su quattro referendum che riguardano la normativa del lavoro, con particolare attenzione a licenziamenti, contratti a termine e responsabilità negli appalti. I quesiti proposti modificano leggi e decreti che regolano queste materie e hanno suscitato un ampio dibattito tra giuristi e esperti. Le valutazioni si concentrano sugli effetti concreti che potrebbero derivare dall’approvazione o dal rifiuto, sia per i lavoratori sia per le imprese. Questo articolo analizza i contenuti dei quesiti con il contributo di due giuslavoristi: Franco Scarpelli e Pietro Ichino, evidenziando il quadro normativo e le posizioni a favore e contro.

Il primo quesito: ritorno alla legge fornero sui licenziamenti

Il primo quesito propone l’abrogazione integrale del decreto legislativo n. 23 del 2015, noto come “decreto sulle tutele crescenti”, con il risultato di far tornare applicabile la disciplina prevista dalla legge Fornero del 2012, in particolare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori così come modificato in quella occasione. In pratica, chi sarà assunto dopo il 2015 perderebbe la disciplina meno stringente introdotta dal decreto 23/2015 e avrebbe gli stessi diritti di chi è stato assunto prima.

Opinioni contrastanti di Franco Scarpelli e Pietro Ichino

Franco Scarpelli sostiene che questo provvedimento ridurrebbe le diseguaglianze tra lavoratori assunti in epoche diverse, perché oggi le tutele variano proprio in base alla data di assunzione. L’aspetto più significativo riguarda i licenziamenti: per esempio, nel caso in cui con la stessa riduzione di personale vengano scelti i dipendenti da licenziare senza rispettare criteri specifici, chi è coperto dall’articolo 18 viene reintegrato, mentre chi è soggetto al decreto 23 ottiene solo un indennizzo. Il quesito porterebbe a una maggiore estensione dei casi di reintegrazione e alla continuità contributiva per questi lavoratori. È vero che in alcune ipotesi residuali l’indennizzo potrebbe essere più basso, ma i casi di indennizzi superiori a due anni di retribuzione sono rari e, per i lavoratori con meno anzianità, il minimo dell’indennizzo raddoppia.

Pietro Ichino, invece, invita alla cautela. Il risultato di un eventuale sì implicherebbe il ripristino della legge Fornero per tutti i lavoratori, ma senza rafforzare in modo significativo la stabilità del lavoro. La reintegrazione nei casi previsti dalla legge rimarrebbe intatta, così come per il licenziamento disciplinare. Sarebbe invece ridotto il massimo risarcimento per licenziamenti economici insufficientemente motivati, da 36 a 24 mensilità. Il miglioramento più rilevante riguarderebbe il licenziamento collettivo, che però rappresenta una parte minoritaria dei casi. Ichino segnala che questo cambio potrebbe far crescere il divario con la normativa sul lavoro vigente in altri paesi europei.

Il secondo quesito: eliminazione del tetto massimo sull’indennizzo per piccole imprese

Il secondo quesito riguarda l’eliminazione del limite massimo all’indennizzo previsto per i licenziamenti nelle piccole imprese, cioè quelle con meno di 15 dipendenti. Attualmente, la legge fissa un tetto di 6 mensilità, che può salire fino a 14 in alcune circostanze legate all’anzianità del lavoratore. Il referendum vuole togliere questo tetto, lasciando che i giudici stabiliscano un indennizzo senza un limite massimo prestabilito, secondo i criteri del diritto civile riguardanti il danno effettivo subito.

Posizioni di Franco Scarpelli e Pietro Ichino sul tetto massimo

Franco Scarpelli ricorda che la Corte costituzionale ha più volte sottolineato come la definizione di “piccola impresa” debba tenere conto non solo del numero di dipendenti ma anche della reale dimensione economica. Il limite attuale appare quindi superato e non adatto a situazioni dove l’impresa anche se di piccole dimensioni svolge un ruolo economico rilevante. L’abrogazione del tetto consentirebbe di adeguare gli indennizzi al danno reale senza che le imprese siano danneggiate ingiustamente, dato che i giudici dovranno comunque accertare il pregiudizio concreto.

L’opposizione guidata da Pietro Ichino rileva che l’assenza di un tetto certo rischia di creare incertezze per imprese e lavoratori. Un limite di indennizzo predefinito assicura maggiore chiarezza sulle sanzioni. Rimuovere il tetto per le piccole imprese appare incoerente rispetto al primo quesito, che propone invece di ridurre il risarcimento massimo per le medie e grandi imprese. Ichino ritiene necessario un intervento legislativo organico e non iniziative referendarie che modifichino il sistema in modo disomogeneo.

Modifiche ai contratti a termine senza causale

Il terzo quesito mira a modificare le regole sui contratti a termine. Oggi, entro il termine massimo di 12 mesi, un datore di lavoro può assumere a tempo determinato senza motivare la scelta. Il referendum elimina questa possibilità: il contratto a termine potrà essere stipulato solo in presenza di motivi previsti dai contratti collettivi o per la sostituzione di un lavoratore assente. La verifica dei motivi sarà oggetto di controllo giudiziale.

Tesi di Franco Scarpelli e Pietro Ichino sul controllo della causale

Secondo Franco Scarpelli, persiste una grande diffusione di assunzioni a tempo determinato, specie tra i lavoratori meno qualificati, che rischiano di rimanere in uno stato di precarietà prolungata poiché il termine può essere usato senza giustificazioni. Il sì rafforzerebbe la necessità di motivazioni condivise in sede sindacale, riducendo così abusi, e aiuterebbe a rendere più stabile l’occupazione.

Pietro Ichino sottolinea come in Italia la quota di lavoratori a termine sia simile a quella europea e come le regole attuali, basate su limiti quantitativi anziché sull’obbligo di causale, abbiano portato a una riduzione dei contenziosi e una lieve diminuzione dei contratti a termine. Il ricorso al giudice per valutare la causale rischia di aumentare incertezza per aziende e dipendenti, provocando contenziosi improduttivi. Le regole già stabilite, ragiona Ichino, bastano per limitare e controllare questi contratti.

Corresponsabilità negli appalti anche in caso di rischi specifici

L’ultimo quesito riguarda la responsabilità delle imprese committenti in appalto per gli infortuni dei lavoratori dipendenti delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. Oggi si applica la corresponsabilità solidale solo se l’infortunio dipende da rischi collegati all’attività svolta dalla committente. Il referendum vorrebbe abrogare questa eccezione, estendendo la responsabilità in modo pieno anche quando il rischio è specifico dell’azienda appaltatrice.

Sicurezza sul lavoro e responsabilità secondo i due esperti

Franco Scarpelli ritiene che la responsabilità solidale in questo ambito sia uno strumento per migliorare la sicurezza nei luoghi di lavoro. Quando la committente sceglie un’impresa specializzata e affidabile, c’è meno rischio di incidenti. Al contrario, in situazioni dove la gara punta solo a ridurre i costi, spesso si risparmia su sicurezza e tutela del lavoratore. Se la responsabilità cade anche sulla committente, che può rivalersi sull’appaltatrice, si incita a scelte più attente e responsabili.

Pietro Ichino mette in evidenza come la corresponsabilità solidale sia già una regola generale e l’eccezione prevista è sensata perché evita di coinvolgere la committente su rischi tecnici di cui non ha competenza. L’innalzamento della responsabilità in ogni caso potrebbe creargli costi ingiustificati. Ichino precisa che i maggiori rischi per i lavoratori si verificano negli appalti dove una grande impresa esercita un controllo forte su imprese più piccole, ma il quesito non riguarda quelle situazioni. Ricorda anche che una recente cancellazione della riorganizzazione degli ispettorati del lavoro avrebbe avuto più bisogno di un referendum abrogativo.

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