Il caso giudiziario legato a una presunta violenza sessuale avvenuta a Ravenna nell’ottobre 2017 si è nuovamente chiuso con l’assoluzione dei due imputati, decisamente contestata da associazioni e parte civile. L’accusa riguardava un episodio in cui una giovane, allora 18enne, sarebbe stata abusata dopo una serata in un locale. La Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza di primo grado stabilendo che il fatto non costituisce reato, motivazione che ha riacceso dibattiti sulla gestione e valutazione delle prove e dei comportamenti coinvolti.
Il contesto della vicenda a ravenna e le accuse mosse contro i due imputati
L’episodio in questione risale a ottobre 2017, quando una 18enne è stata portata in un appartamento dopo una notte passata in un locale a Ravenna. Secondo l’accusa, la giovane sarebbe stata costretta a subire un rapporto sessuale di gruppo ed era stata anche ripresa con un telefonino durante l’atto. I due imputati, di 33 e 34 anni, sono stati chiamati a rispondere rispettivamente di violenza sessuale di gruppo e di induzione attraverso l’abuso delle condizioni della vittima.
In primo grado, i due erano stati assolti con la motivazione che la ragazza aveva espresso un consenso valido, anche se al momento aveva bevuto. Questo elemento ha diviso l’opinione pubblica e dato luogo a manifestazioni contro la decisione, mentre la Procura aveva richiesto la custodia cautelare in carcere, ottenuta tramite due diversi gip. La giovane aveva denunciato insieme al fidanzato alcuni giorni dopo la serata, segnalando quanto accaduto.
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Il percorso giudiziario: custodia, scarcerazione e conferma dell’assoluzione
Dopo le iniziali misure cautelari, l’evoluzione del processo ha portato a una rivalutazione sostanziale della posizione degli imputati. Il tribunale del riesame di Bologna aveva già deciso di scarcerarli, rilevando l’assenza di elementi adeguati per mantenere la detenzione. Al centro del dibattito ci sono state le immagini girate durante l’atto sessuale, che hanno suscitato dubbi e contraddizioni.
La Corte di appello ha ribadito che non è configurabile la violenza sessuale per induzione, soprattutto perché la vittima avrebbe preso lei l’iniziativa. Inoltre, ha stabilito che i due imputati non potevano accorgersi di una riduzione effettiva o temporanea della capacità di autodeterminarsi della ragazza. Questo particolare ha giocato un ruolo determinante nella decisione finale da parte dei giudici.
Reazioni e polemiche dopo la sentenza definitiva
La sentenza non ha lasciato indifferenti gli operatori del diritto e le associazioni impegnate nel contrasto della violenza di genere. L’avvocato Elisa Cocchi, che rappresenta la parte civile a fianco della giovane, ha espresso un giudizio critico rispetto alle motivazioni della Corte. Ha sottolineato come la vittima non sia stata creduta nuovamente e ha contestato la mancata valutazione del suo stato di incapacità di esprimere consenso.
Dal canto suo, la Procura generale ha preannunciato la possibilità di ricorrere in Cassazione contro la decisione d’appello, puntando a rivedere i termini del processo e la qualificazione dei fatti. La controversia segue un percorso giudiziario che ha coinvolto diversi livelli di giudizio e ha posto in luce le difficoltà di interpretare situazioni limite legate al consenso in contesti di abuso di alcol e dinamiche di gruppo.
Dibattiti sulle implicazioni e limiti del consenso
Questa vicenda ha attirato l’attenzione pubblica per le questioni delicate che solleva circa i limiti del consenso e la tutela delle vittime nelle cause di violenza sessuale, dimostrando come certe circostanze continuino a generare dibattiti profondi anche in fase giurisdizionale.