La Corte costituzionale ha respinto un ricorso che chiedeva di consentire a terzi di intervenire nella somministrazione del farmaco per il suicidio assistito. Il caso riguarda una donna toscana, paralizzata dal collo in giù, che non può assumere da sola il medicinale nonostante possieda i requisiti previsti dalla legge sul fine vita.
Ricorso e contesto della decisione
La vicenda nasce da un procedimento giudiziario promosso dal tribunale di Firenze, che ha sollevato questioni di legittimità costituzionale in merito all’articolo 579 del codice penale, il quale punisce l’omicidio del consenziente. In particolare si chiedeva di rivedere il divieto di intervento attivo di altre persone nella somministrazione del farmaco per il suicidio assistito. La donna toscana, impossibilitata a somministrarsi il medicinale da sola a causa della paralisi, aveva fatto ricorso per poter ricevere assistenza senza incorrere in sanzioni penali.
Con la sentenza depositata nel 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il tribunale di Firenze non ha fornito prove convincenti dell’esistenza di dispositivi medici che permettano al paziente di autosomministrarsi il farmaco senza aiuto esterno, come pompe infusionale attivabili con comandi vocali o tramite movimenti oculari capaci di garantire l’autonomia nel gesto.
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Motivazioni della corte costituzionale
La Corte ha rilevato che il tribunale di Firenze si è espresso esclusivamente basandosi su informazioni raccolte dall’Azienda sanitaria locale. Tali ricerche di mercato non sono state ritenute sufficienti per accertare la reale possibilità di reperire strumenti tecnologici adeguati. La Corte ha sottolineato che sarebbe stato necessario coinvolgere enti specializzati di livello centrale, come l’Istituto superiore di sanità, per ottenere pareri autorevoli e aggiornati sulla disponibilità di dispositivi idonei.
In assenza di una verifica approfondita e scientificamente attendibile, la Corte ha respinto le obiezioni sollevate contro l’articolo 579. Tuttavia, ha precisato che qualora dispositivi capaci di garantire la somministrazione autonoma fossero disponibili in tempi rapidi e compatibili con le condizioni della paziente, quest’ultima avrebbe diritto a utilizzarli senza violare la legge.
Impatto del verdetto sulla disciplina del suicidio assistito
La sentenza ripropone il nodo dell’assistenza nelle procedure di fine vita per pazienti impossibilitati a gestire autonomamente i farmaci salvavita. In Italia il suicidio assistito è regolato da norme stringenti che vietano l’intervento diretto di altre persone nella somministrazione del farmaco. Rimane centrale quindi la ricerca e l’adozione di dispositivi tecnologici che permettano ai pazienti privi di tali capacità motorie di agire in autonomia.
Monitoraggio delle tecnologie disponibili
La decisione della Corte costituzionale non modifica la normativa esistente ma spinge a un monitoraggio più rigoroso delle tecnologie disponibili nel settore sanitario. Il riferimento all’Istituto superiore di sanità indica la necessità di un parere tecnico-scientifico autorevole prima di rivedere le norme o autorizzare forme di assistenza esterna nella pratica del suicidio assistito.
Nel frattempo, la questione rimane aperta per molti pazienti nelle stesse condizioni della donna toscana, che devono affrontare limiti pratici e legali per esercitare il diritto al fine vita secondo le procedure previste. La sentenza rafforza il principio di legalità ma evidenzia gli aspetti tecnologici e sanitari su cui si dovranno concentrare le future valutazioni normative.