Una rapina con sequestro in un appartamento di via di Val Melaina ha portato alla cattura di sei persone, coordinate da un presunto boss detenuto a Roma. La polizia ha ricostruito i fatti a partire da una segnalazione arrivata lo scorso maggio, quando una coppia era stata costretta sotto minaccia a consegnare chiavi e denaro. Scopriamo come si è svolta l’indagine e quali sono state le tappe che hanno portato agli arresti.
Il sequestro in via di Val Melaina: la prima aggressione e la presa dell’appartamento
Era maggio 2025 quando marito e moglie, rientrati a casa dopo una giornata fuori, hanno trovato quattro persone che li aspettavano all’interno dell’appartamento. I malviventi li hanno sorpresi di spalle, impedendo ogni tentativo di fuga o richiesta di aiuto. L’uomo è stato gettato a terra e colpito con il calcio di una pistola alla testa, mentre la donna veniva zittita con la mano sulla bocca. Cellulari portati via, libertà di movimento annullata e minacce continue hanno trasformato la loro abitazione in una prigione momentanea.
La destinazione dell’appartamento sequestrato
I quattro delinquenti volevano consegnare loro le chiavi di un altro appartamento, appartenente a una coppia di amici della vittima, momentaneamente fuori Roma. Quel che resta chiaro è che la scelta dell’obiettivo non era stata casuale, ma mirata, dato che quel secondo immobile doveva essere usato dalla banda.
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Le telefonate dal carcere e le minacce legate alla famiglia
Durante il sequestro i rapinatori hanno avviato una chiamata video con un uomo con un marcato accento campano, dal carcere. Questo, secondo gli investigatori, è il cosiddetto “boss” che comandava a distanza i movimenti. A lui il gruppo ha chiesto istruzioni per il da farsi con le vittime. A seguire, ha parlato anche il presunto fratello del boss, che ha dettato ulteriori ordini.
In un clima di terrore crescente, la coppia si è vista minacciare calcoli estremi: il boss ha fatto riferimento alla figlia della vittima, minacciando danni alla sua incolumità per costringere i genitori a cedere. “Ha ordinato perfino violenze ancora più gravi, come il taglio dell’orecchio al marito e picchiare la moglie.” Solo davanti a queste minacce la donna ha ceduto, consegnando ai malviventi chiavi e duemila euro in contanti.
La strategia di intimidazione
La pressione sulla famiglia è stata il fulcro della strategia del gruppo, mostrando un modus operandi particolarmente aggressivo e spietato.
L’intervento della polizia e i primi arresti post aggressione
Alla segnalazione della rapina in corso, poco dopo, i falchi della polizia sono intervenuti sul posto bloccando tre dei quattro intrusi sulle scale, mentre provavano a scappare. All’interno dell’appartamento, la situazione delle vittime è emersa con chiarezza. Immediatamente arrestati, i primi tre sospetti sono stati trattenuti in attesa di ulteriori sviluppi.
Le forze dell’ordine hanno trovato e sequestrato coltelli, pistole e altre prove materiali. Sono stati inoltre rinvenuti gli oggetti rubati dalla coppia, parte della refurtiva recuperata valevole per le indagini. Il gruppo, nel complesso, aveva agito con minuziosa pianificazione, facendo temere che quella rete fosse più ampia.
Le indagini della direzione distrettuale antimafia e i successivi arresti
L’indagine è passata immediatamente sotto il controllo della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Roma, che ha coordinato i successivi accertamenti. Sono emersi così altri complici, collegati al capo carcerato e ai suoi ordini. Nel corso di due mesi intensi, sono state raccolte prove che hanno consentito di emettere sei ordinanze di custodia cautelare, eseguite appena oggi dalla polizia.
I sei sono accusati di sequestro di persona a scopo di estorsione, rapina aggravata in concorso e porto abusivo di armi. Nel complesso si parla di una rete criminale che usava intimidazioni pesanti per sottomettere le vittime. Al momento, comunque, tutti gli indagati sono da ritenersi innocenti sino a sentenza definitiva.
Le accuse contestate
- sequestro di persona a scopo di estorsione
- rapina aggravata in concorso
- porto abusivo di armi
Le modalità criminali e riflessi sulla sicurezza urbana
Il caso racconta quali metodi siano impiegati per ottenere il controllo su proprietà altrui attraverso la violenza e la coercizione. Il boss in carcere guidava i complici a distanza, quasi come in un film, dando ordini per telefono e facendo leva sulla paura della famiglia come leva principale. È un esempio di come anche dentro le mura della detenzione si possa pianificare reati gravi, notevole preoccupazione per le forze dell’ordine.
Queste aggressioni, avvenute in piena città, hanno attirato attenzione pubblica proprio per la crudeltà delle minacce e per l’uso di strumenti delinquenziali. Fuori dal caso specifico, resta alta la guardia sulla sicurezza degli appartamenti, soprattutto quando affidati temporaneamente ad amici o conoscenti poco fidati.