Il futuro dell’olivicoltura italiana non si gioca soltanto nella quantità di nuovi impianti o nella scelta delle varietà da coltivare. La vera sfida riguarda la capacità di sapere fin da ora come e a quali condizioni l’olio extravergine di oliva sarà venduto, quali prezzi si potranno ottenere e come sostenere l’intera filiera. Questo tema, fondamentale per l’economia di molti territori, si trova al centro delle riflessioni del tavolo di lavoro per il nuovo Piano Olivicolo Nazionale, che deve dare risposte concrete per almeno i prossimi dieci anni.
Nuove strategie per rilanciare l’olivicoltura italiana
Gennaro Sicolo, presidente di Italia Olivicola e vicepresidente nazionale di CIA Agricoltori Italiani, sottolinea che servono strategie a lungo termine. Il lavoro attuale sul Piano Olivicolo Nazionale va oltre la semplice piantumazione di nuovi olivi. Deve includere una visione completa, che comprenda come rendere davvero redditizi gli investimenti degli agricoltori dietro a ogni pianta. Oltre ai problemi immediati come la diffusione della Xylella o le controversie legate agli steroli nell’olio, è necessario progettare con uno sguardo che vada almeno a dieci anni.
Un punto di partenza chiaro
Il punto di partenza è chiaro: pianificare non solo la produzione da campo, ma arrivare fino al consumatore, pensando alla commercializzazione e alla tutela del prodotto italiano. Non basta imitare modelli esteri senza conoscere i rischi che ne derivano. Sicolo avverte del pericolo di riferirsi solo alla Spagna come esempio virtuoso, viste le difficoltà emerse nella penisola iberica.
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Il caso spagnolo e le lezioni da non dimenticare
La Spagna rappresenta il primo produttore mondiale di olio d’oliva, ma nella sua espansione olivicola qualcosa sta vacillando. Nonostante la forte organizzazione cooperativa che controlla il 70% della produzione, l’aumento delle superfici coltivate ha portato a una forte riduzione dei prezzi di vendita, spesso sotto ai costi di produzione. Questa situazione ha spinto molti agricoltori a lasciare l’olivicoltura tradizionale, indebolendo così una parte importante del tessuto produttivo.
Italia Olivicola mette in guardia dal replicare quel modello senza considerare i limiti evidenti che sta mostrando. Senza un coordinamento sulle quantità e senza strategie di mercato efficaci, si rischia un deterioramento complessivo del settore. Il messaggio è chiaro: il futuro deve passare dal rafforzamento delle organizzazioni di produttori, le cosiddette OP, e da un confronto più stretto con i canali di distribuzione.
Rischio di emulazione senza adeguate strategie
Il rischio è un deterioramento complessivo del settore senza un coordinamento efficace e strategie dedicate.
Il ruolo strategico delle organizzazioni di produttori e della grande distribuzione
Le organizzazioni di produttori possono gestire meglio alcune dinamiche di mercato, come gli stoccaggi o le oscillazioni improvvise dei prezzi. Hanno un ruolo chiave nel mantenere l’equilibrio tra domanda e offerta e nel promuovere l’olio italiano come un prodotto riconosciuto e tutelato, soprattutto in relazione alla grande distribuzione. Senza una collaborazione efficace con i supermercati e le catene di vendita, il rischio è di vedere l’olio italiano relegato a un prodotto di secondo piano, usato a scopo promozionale o sottocosto.
Italia Olivicola chiede una revisione della normativa sul sottocosto per evitare prezzi di vendita troppo bassi, che svuotano di valore il lavoro degli olivicoltori. Serve una strategia commerciale condivisa, capace di mettere insieme gli interessi degli agricoltori e quelli dei distributori, in un patto che valorizzi il prodotto e garantisca la sostenibilità economica di tutta la filiera.
Un patto per la valorizzazione
Il patto tra produttori e distributori è essenziale per garantire la sostenibilità economica della filiera olearia italiana.
Un piano finanziario a lungo termine per sostenere l’intera filiera
Per realizzare questa visione ora serve un piano finanziario concreto, che metta a disposizione risorse per le sfide immediate e quelle di medio-lungo periodo. Il progetto deve essere pluriennale, offrendo certezze agli operatori che investono nel settore. Solo così si eviterà che l’olivicoltura italiana venga lasciata senza supporto in momenti critici, come quelli legati alle emergenze fitosanitarie o alle variazioni dei mercati internazionali.
Gli investimenti devono andare oltre la semplice produzione e puntare alla costruzione di una filiera forte, capace di decidere strategie di valorizzazione e di adattarsi ai cambiamenti dei mercati globali. Senza risorse adeguate, la crescita rischia di restare solo un progetto teorico invece che prendere forma in campi, frantoi e negozi.