Il tribunale civile di Milano ha stabilito che la cognata di Alessandro Impagnatiello dovrà risarcire con circa 25mila euro i familiari di Giulia Tramontano, la donna incinta di sette mesi uccisa dall’ex barman nel maggio 2023. La vicenda riguarda la vendita e l’intestazione dell’auto usata da Impagnatiello per trasportare il corpo della vittima, un’operazione che il tribunale ha giudicato un tentativo di far sembrare l’uomo nullatenente e così evitare il pagamento del risarcimento.
La vendita dell’auto: una mossa per sfuggire al risarcimento
Tutto nasce da una decisione presa da Impagnatiello pochi mesi dopo l’omicidio: vendere e intestare l’auto, quella stessa usata nel delitto, alla cognata, cioè la moglie del fratello. Secondo quanto emerso nel processo civile, non si trattava di una normale compravendita, ma di un modo per ridurre il patrimonio a disposizione del condannato. L’obiettivo era chiaro: evitare che quei beni potessero essere usati per pagare la famiglia della vittima.
Il tribunale ha sottolineato che quella vendita serviva proprio a “diminure la consistenza patrimoniale” di Impagnatiello, condannato all’ergastolo in primo e secondo grado per l’omicidio di Giulia. La famiglia di Giulia, assistita dagli avvocati Rosario Santella e Giovanni Cacciapuoti, ha dimostrato che quel passaggio di proprietà non aveva altra ragione se non sottrarre un bene prezioso ai creditori, togliendo ai parenti di Giulia la possibilità di ottenere un risarcimento più consistente.
La sentenza di Milano mette in luce una pratica usata per scoraggiare il risarcimento civile, facendo apparire Impagnatiello senza risorse economiche. Eppure, quell’auto era al centro del crimine: è il mezzo con cui l’ex barman aveva nascosto e trasportato il corpo di Giulia Tramontano.
La cognata nel mirino della giustizia civile: ecco le conseguenze
La cognata di Impagnatiello, indicata durante le udienze come destinataria dell’auto, è stata coinvolta direttamente nella causa civile promossa dai familiari di Giulia. Il tribunale di Milano ha riconosciuto la sua responsabilità nel trasferire il bene con l’intento di ostacolare i diritti patrimoniali della famiglia della vittima. Per questo motivo è stata condannata a pagare circa 25mila euro di risarcimento.
Questa cifra è stata stabilita come compensazione per il danno subito dai parenti, che avevano chiesto un indennizzo legato al grave episodio di femminicidio. La sentenza ha un peso importante perché rappresenta una risposta civile contro chi cerca di disfarsi dei beni per evitare le conseguenze economiche di un reato penale.
Dal punto di vista legale, il verdetto dimostra come la giustizia civile possa intervenire per bloccare queste strategie di elusione patrimoniale. Conferma anche che la responsabilità nel sottrarre beni utili al risarcimento può ricadere su terzi collegati al colpevole. Così questo caso diventa un punto di riferimento nella tutela delle vittime di femminicidio, rafforzando la vigilanza contro ogni tentativo di bloccare il riconoscimento di un risarcimento.
Il caso Tramontano: simbolo nel dibattito italiano sul femminicidio
La storia di Giulia Tramontano non si chiude con la condanna penale di Impagnatiello. Ha assunto un valore simbolico nelle battaglie sociali e legislative contro il femminicidio in Italia. Il tentativo di intestare un bene così importante come l’auto a un familiare del condannato ha fatto emergere la volontà di aggirare le conseguenze civili del reato, un tema che è al centro di molti dibattiti recenti.
La sentenza civile di Milano conferma un atteggiamento più severo da parte dei tribunali nel difendere i diritti delle vittime e dei loro cari, a prescindere dall’esito del processo penale. Questo caso spinge a riflettere su come il sistema giudiziario possa intervenire per bloccare le fughe patrimoniali di chi commette reati gravi e mette in luce quanto sia complicato proteggere economicamente chi subisce un femminicidio.
Nel 2025, tra le iniziative politiche e sociali, il caso Tramontano è spesso citato come esempio di quanto sia urgente intervenire, sia sul piano normativo che operativo. Serve rafforzare la rete di protezione per le donne vittime di violenza e garantire giustizia anche sul fronte dei risarcimenti. La condanna della cognata di Impagnatiello segna un precedente importante, capace di influenzare simili casi in futuro.