Chiuso il cinema odeon di milano: da capolavoro déco a beauty hall del lusso, un documentario ne racconta la storia

Chiuso il cinema odeon di milano: da capolavoro déco a beauty hall del lusso, un documentario ne racconta la storia

la chiusura del cinema Odeon di Milano segna la fine di un’epoca, mentre il documentario di Tomaso Pessina racconta la storia dell’edificio, l’eredità di Aldo Avati e il legame familiare con il cinema italiano
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Il cinema Odeon di Milano, storico edificio déco chiuso nel 2023, viene raccontato nel documentario "L’incanto" di Tomaso Pessina, che intreccia la sua storia con quella dell’architetto Aldo Avati e della famiglia Avati, esplorando il legame tra cinema, memoria e trasformazioni urbane. - Gaeta.it

Il 31 luglio 2023 ha segnato la fine di un’epoca per il cinema milanese con la chiusura del cinema Odeon, un edificio storico inaugurato nel 1929. Questo spazio, noto per la sua architettura déco su tre piani e la vicinanza al duomo, sta per trasformarsi in una beauty hall all’interno di un grande magazzino di alta moda. Un documentario ufficiale, diretto da Tomaso Pessina, ripercorre la storia di questo luogo e intreccia le vicende personali e artistiche di Aldo Avati, l’architetto che lo progettò, e della sua famiglia di cineasti.

Storia e architettura del cinema odeon di milano

Il cinema Odeon si presentava come un gioiello dell’architettura déco milanese, con i suoi tre piani e dettagli raffinati. Progettato da Aldo Avati, architetto di rilievo e figura familiare nel mondo del cinema, vicino al duomo di Milano, era diventato un punto di riferimento culturale. Aperto nel 1929, ha ospitato generazioni di spettatori e rappresentato un luogo dove il cinema veniva vissuto come esperienza totale, tra lo spettacolo e la socialità.

La sua chiusura ha suscitato emozioni forti, perché dietro le sue mura si concentravano ricordi legati a trasformazioni urbane, ma anche a una visione progettuale d’epoca. Ora si apprende che l’edificio diventerà la beauty hall di un grande spazio dedicato al lusso, una destinazione molto lontana dalla funzione originaria. Il recupero di spazi storici per usi commerciali riflette una dinamica diffusa nelle grandi città, dove luoghi simbolo della cultura si piegano alle nuove esigenze economiche.

Il cambio d’uso, nelle scorse settimane annunciato ufficialmente, ha lasciato un senso di perdita nelle comunità di appassionati di cinema, ma la storia dell’Odeon trova nuova vita proprio nel documentario di Tomaso Pessina che lo racconta da un’angolazione originale e personale.

Il documentario di tomaso pessina e l’eredità di aldo avati

Tomaso Pessina, nipote e collaboratore per diciotto anni di Pupi Avati, porta in scena un racconto che intreccia passato e presente del cinema italiano. Il documentario, intitolato “l’incanto”, debutta alla rassegna Confronti durante le Giornate degli Autori alla Mostra del cinema di Venezia .

La scelta narrativa si compone di due percorsi paralleli: uno guarda alla storia e alla chiusura dell’Odeon, l’altro segue le vicende di Aldo Avati, architetto e padre di Pupi, da cui Tomaso è lontanamente imparentato. L’“incanto” diventa una chiave attraverso cui osservare la relazione tra luogo e arte, cinema e memoria. Pessina spiega che quel termine, già presente in un’opera simbolo di Avati, “una gita scolastica”, rappresenta uno “spirito, un buon compagno di strada”.

Avati, davanti alla cinepresa, racconta con dettagli e ironia la sua passione nata con la visione di “Otto e mezzo” di Fellini, esperienza che ha orientato la sua carriera come cineasta. Le scelte artistiche, l’incontro con generi diversi e il rapporto personale con il fare cinema emergono da immagini e confessioni dirette. Nonostante l’età, Avati ha continuato a lavorare, realizzando quattro film nel giro di tre anni, mentre Pessina costruiva il documentario.

Narrazione e tecniche del documentario “l’incanto”

Il documentario si sviluppa su più livelli, mescolando la cronaca della fine del cinema Odeon con la biografia di Aldo Avati e la sua influenza sulla famiglia e sul cinema italiano. Tomaso Pessina usa sequenze di animazione pittorica sovrapposte a fotogrammi d’epoca, curate da Elisabetta Bianchi, art director del progetto. Questa scelta artistica aiuta a evocare l’atmosfera e il rapporto tra immaginazione e ricordo.

Il filo conduttore è proprio la capacità del cinema di sedimentare memorie e fantasie nel pubblico. Le immagini del palazzo che chiude, insieme ai racconti personali e professionali, si combinano per illustrare come si costruisce l’incanto di un film, ma anche quello legato a uno spazio fisico dove il pubblico si radunava.

Pessina definisce il documentario come un intreccio di narrazioni che scorrono insieme, piuttosto che una cronaca lineare. Il risultato è un ritratto intenso, che lascia emergere la potenza che il cinema ha sulle nostre emozioni e la cultura condivisa.

Rapporto personale e professionale tra tomaso pessina e la famiglia avati

Tomaso Pessina si presenta come una figura che ha vissuto in prima persona l’esperienza del cinema di Pupi Avati, padroneggiando gli aspetti tecnici e narrativi del mestiere per quasi due decenni. Prima di questo documentario ha realizzato altri film, corti e spot, ma ricorda che il primo set con Pupi Avati gli ha mostrato cosa significa realmente dirigere.

Pessina sottolinea il carisma del regista e la sua dedizione a raccontare storie, elementi che si riflettono nell’approccio raccontato nel documentario. Il legame familiare aggiunge una prospettiva unica al racconto, restituendo una visione più intima e approfondita sulle motivazioni che hanno guidato la carriera di Avati padre e figlio.

Questa combinazione di fattori rende “l’incanto” un’opera in cui il cinema non è solo un mezzo artistico, ma un patrimonio personale, familiare e collettivo. Le immagini di un edificio simbolo della città si fondono con quelle di una dinastia di cineasti, offrendo uno spaccato raro e ricco di dettagli sulla storia recente del cinema italiano e sui cambiamenti culturali milanesi.

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