Il progetto Biogenera si propone di sviluppare una terapia genica completamente nuova, senza l’uso di vettori virali, per trattare malattie rare come la glicogenosi di tipo 3 . Questa malattia genetica, che colpisce il metabolismo epatico e la funzionalità muscolare, ha poche opzioni di cura oggi disponibili. La ricerca, condotta presso il laboratorio Biotecnologie Red di Enea, mira a creare una soluzione più sicura, precisa e accessibile, sfruttando una piattaforma biotecnologica avanzata e un brevetto esclusivo di Enea. Serve un impegno concreto per accelerare le attività e arrivare a una cura in un tempo relativamente breve, circa 12 mesi.
La glicogenosi di tipo 3: caratteristiche e impatto sulla vita dei pazienti
La glicogenosi di tipo 3 deriva da mutazioni del gene Agl. Queste alterazioni impediscono al corpo di metabolizzare correttamente il glicogeno, che si accumula in modo anomalo nel fegato e nei muscoli. La malattia si manifesta già nei primi mesi o durante l’infanzia con sintomi evidenti come ingrossamento del fegato, ipoglicemia e ritardo nella crescita. Col passare degli anni, la situazione peggiora fino a provocare disturbi muscolari simili a una distrofia. Lo stato di debolezza muscolare negli adulti impatta profondamente la qualità della vita e limita le attività quotidiane.
La sfida più grande oggi è che non esistono terapie mirate capaci di arrestare il progresso della malattia. Le soluzioni attuali affrontano soprattutto i sintomi, senza intervenire sul meccanismo genetico fondamentale. Per questa ragione, la ricerca si concentra su modalità che possano correggere il difetto a livello cellulare. Programmi come Biogenera si sviluppano proprio in questo senso, puntando a terapie geniche innovative per una cura definitiva.
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Biogenera: un approccio innovativo con nanoparticelle non virali
Le terapie geniche tradizionali usano vettori virali per trasportare il materiale genetico nelle cellule. Questa pratica però presenta rischi di reazioni avverse e limiti nella somministrazione ripetuta. Biogenera propone un metodo alternativo: nanoparticelle lipidiche o polimeriche progettate per trasferire il materiale genetico specifico, in modo sicuro e mirato, senza virus.
Questa tecnologia riduce i rischi associati all’inserimento di materiale estraneo e permette di ripetere i trattamenti nel tempo. È un passo avanti importante, soprattutto per malattie croniche come la GsdIII, che richiedono interventi continui su tessuti delicati come quelli muscolari ed epatici.
Alla base c’è un plasmide brevettato da Enea, veicolato attraverso queste nanoparticelle, capace di attraversare le barriere cellulari e rilasciare il materiale genetico in modo localizzato. L’obiettivo non è solo la sicurezza ma anche la precisione del trattamento.
Modelli 3D per testare l’efficacia senza usare troppi animali
Un’altra innovazione di Biogenera riguarda la fase di sperimentazione. Il progetto sfrutta modelli in vitro tridimensionali , costituiti da sferoidi multicellulari ottenuti da cellule di pazienti. Questi modelli riproducono in modo più realistico l’ambiente patologico della malattia rispetto ai tradizionali coltivi bidimensionali.
L’approccio consente di valutare meglio come reagiscono le cellule alla terapia genica, prima di passare a prove più complesse o in vivo. Così si riduce la necessità di sperimentazione animale e si tagliano i costi, accelerando il percorso verso possibili applicazioni cliniche.
Nel dettaglio, i modelli 3D permettono di simulare le interazioni cellulari e il comportamento del materiale genetico una volta immesso nel tessuto. Questo contribuisce a capire non solo se il trattamento funziona, ma anche quali potrebbero essere eventuali effetti collaterali o limiti.
Il ruolo del finanziamento pubblico e l’appello per il 5×1000
Il progetto Biogenera si muove su tempi certi: circa 12 mesi per sviluppare la terapia genica non virale e testarne l’efficacia. Per raggiungere questo obiettivo ha bisogno di risorse, soprattutto per la fase di sperimentazione e per produrre in serie le nanoparticelle e i materiali genetici.
Doriana Triggiani, ricercatrice a capo del progetto, ha sottolineato che il contributo del 5×1000 al progetto può accelerare sensibilmente il lavoro dei ricercatori. Basta destinare una piccola parte della dichiarazione dei redditi, firmando nell’apposito riquadro per la ricerca scientifica e inserendo il codice fiscale di Enea .
Questo supporto economico permetterà di portare avanti la ricerca in tempi rapidi e mettere a disposizione dei pazienti una terapia più sicura e accessibile.
Un modello replicabile per altre malattie genetiche rare
Biogenera non si limita a essere un progetto isolato. L’innovazione dietro questa piattaforma biotecnologica potrebbe diventare replicabile per patologie genetiche simili, che oggi non hanno cure efficaci.
Il lavoro di Enea e del laboratorio Biotecnologie Red mira a creare un modello versatile, utilizzabile per altre malattie legate a mutazioni genetiche e accumuli cellulari anomali. Questo consentirebbe di estendere i benefici della terapia genica non virale a un pubblico più ampio, cambiando il volto della ricerca sulle malattie rare.
Il valore aggiunto consiste nella combinazione tra sicurezza, precisione e costi controllati. Una soluzione che potrebbe davvero cambiare il quadro terapeutico in condizioni che oggi restano per lo più senza risposte.