Assoluzione per una donna cubana a Forlì accusata di maltrattamenti e abbandono con conseguente morte del marito

Assoluzione per una donna cubana a Forlì accusata di maltrattamenti e abbandono con conseguente morte del marito

Una donna cubana di 44 anni è stata assolta dalla Corte d’assise di Forlì per maltrattamenti e abbandono del marito a Tredozio, con riconoscimento di vizio parziale di mente e misura di sicurezza.
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Una donna cubana è stata assolta dalla Corte d'assise di Forlì dalle accuse di maltrattamenti e abbandono, in seguito alla morte del marito, grazie anche a una perizia che ha evidenziato una parziale incapacità di intendere e volere. - Gaeta.it

Una donna cubana di 44 anni è stata assolta al termine di un processo tenutosi in Corte d’assise a Forlì, dove era imputata per maltrattamenti e abbandono di persona incapace, aggravato dalla morte del marito. Il caso riguarda la morte del 66enne, avvenuta nel marzo 2020 nel comune di Tredozio, nella casa in cui vivevano insieme. L’evento aveva suscitato riscontro giudiziario dopo indagini a seguito del ritrovamento dell’uomo in condizioni critiche.

La relazione e la situazione familiare alla base del caso

La coppia si era formata anni prima, dopo un incontro durante un viaggio del marito, un camionista, a Cuba. Dal loro rapporto era nato un figlio, che però era stato affidato ai servizi sociali. Il tribunale per i minorenni aveva deciso per la custodia esterna, dopo un intervento dei servizi. Questo dettaglio è importante perché rappresenta un quadro di difficoltà familiari evidenti, che probabilmente influirono anche sulla gestione del rapporto tra i coniugi.

Il marito viveva a Tredozio con la moglie e versava in uno stato di salute precario quando fu trovato dai soccorritori. La convivenza tra i due aveva subìto tensioni e difficoltà, oggetto delle accuse che la donna doveva affrontare in tribunale.

Le accuse di maltrattamenti e abbandono contestate alla donna

La procura aveva contestato alla donna di aver maltrattato il marito con atti di violenza verbale e fisica, come offese, minacce, e il lancio di oggetti. A questo si sommavano le accuse gravi di averlo trascurato sotto il profilo sanitario e alimentare, lasciandolo in condizioni igieniche pessime.

L’uomo era stato rinvenuto in casa in condizioni critiche e, nonostante il ricovero, era morto poco dopo. Per la procura queste dinamiche rappresentavano abbandono e maltrattamenti con un chiaro legame di causa-effetto con la morte.

Il procedimento giudiziario e la perizia psichiatrica

Nel corso della fase istruttoria, la Corte di assise ha disposto una perizia psichiatrica sulla donna, assistita dall’avvocato Nicola Montefiori. La consulenza ha accertato l’esistenza di un vizio parziale di mente al momento dei fatti, elemento che ha inciso sulla valutazione della responsabilità penale.

La procura, rappresentata dalla pm Laura Brunelli, ha elaborato la richiesta di assoluzione basata proprio su questa incapacità parziale di intendere e di volere. Accanto alla richiesta di assoluzione, la pm ha proposto l’applicazione di una misura di sicurezza con ricovero in struttura psichiatrica.

L’avvocato Montefiori ha avanzato una difesa incentrata sulla totale assoluzione, sostenendo che le presunte condotte di maltrattamento non fossero state provate in maniera univoca dalle testimonianze. Quanto al presunto abbandono, ha evidenziato come la donna non avesse piena consapevolezza della gravità delle condizioni del marito.

La sentenza e le disposizioni della corte di assise di forlì

Dopo due ore di camera di consiglio, la Corte di assise ha assolto la donna con formula piena per ciò che riguarda i maltrattamenti, riconoscendo che le prove non dimostravano un comportamento abituale e sistematico di violenza. Per l’abbandono, invece, l’assoluzione è arrivata sulla base della parziale incapacità di intendere e di volere.

Sui tempi della pena è stata disposta una misura di sicurezza consistente in un anno di libertà vigilata, affidandola al centro di salute mentale competente. Questa decisione mira a un controllo terapeutico piuttosto che a una pena detentiva.

Il caso si chiude con questa sentenza, che mette fine a un procedimento durato diversi anni e che riguardava una storia famigliare complicata, non lontana dagli occhi della comunità locale di Tredozio.

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