Il tribunale d’appello di Napoli ha pronunciato un verdetto che modifica profondamente la vicenda giudiziaria legata al delitto di Michele della gatta, avvenuto nel 1999 nel comune di Castel Volturno, in provincia di Caserta. Michele Zagaria, considerato storico capo clan della cosca dei Casalesi, è stato assolto dall’accusa di essere il mandante dell’omicidio. Un pronunciamento che cambia lo scenario processuale rispetto alla sentenza di primo grado emessa nel 2022.
Il verdetto d’appello che ha ribaltato la condanna di michele zagaria
Il processo d’appello si è concluso con l’assoluzione di Michele Zagaria dalla grave accusa di aver ordinato l’uccisione di Michele della gatta, membro della stessa cosca. Questo evento avviene dopo che, meno di tre anni fa, il tribunale per l’udienza preliminare di Napoli aveva invece riconosciuto la responsabilità di Zagaria condannandolo a 30 anni di carcere. La corte d’assise d’appello ha dunque rigettato quell’impostazione, cancellando quella condanna.
Implicazioni della decisione
Questa decisione è significativa soprattutto per il peso politico e criminale di Zagaria nel clan dei Casalesi. Il processo ha tenuto a lungo l’attenzione sul ruolo specifico di ciascuno degli imputati nelle dinamiche interne alla cosca. Restano confermate invece le pene per altri esponenti di vertice, a partire da Vincenzo Schiavone, detto “Petillo”, condannato a 30 anni. Stessa sorte per l’ex capoclan oggi collaboratore di giustizia Antonio Iovine, il quale mantiene una condanna di oltre 10 anni.
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Storia e indagini sul delitto di castel volturno: il caso che ha sfidato la giustizia per vent’anni
Il delitto di Michele della gatta ha rappresentato un caso inquietante e complesso nel quadro dell’attività criminale dei Casalesi. L’omicidio risale al 1999 e, a lungo, le indagini non avevano portato a scoprire mandanti o esecutori. La prima inchiesta, partita dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli, si era chiusa in archivio senza risultati concreti.
Questa mancanza di prove aveva alimentato un vuoto investigativo durato quasi vent’anni. Il mistero sul coinvolgimento di figure di spicco nel clan ha iniziato a dissolversi grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Nicola Schiavone, figlio del boss “Sandokan”, ha aperto un nuovo filone di ricostruzione, seguito da Antonio Iovine, che ha fornito dettagli sul contesto e sulle responsabilità interne al gruppo criminale. Questi elementi hanno cambiato la percezione e le valutazioni giudiziarie sul delitto.
Approfondimento sulle indagini
Le rivelazioni hanno permesso di contestualizzare meglio il delitto nell’ambito delle faide interne al clan, mettendo in luce i rapporti di forza e le tensioni che portarono al fatto criminoso.
Il ruolo degli imputati confermati: vincenzo schiavone e antonio iovine nel processo
Mentre Michele Zagaria ha ottenuto l’assoluzione in appello, gli altri imputati hanno visto confermare le loro condanne. Vincenzo Schiavone, noto come “Petillo” e considerato una figura di rilievo della cupola Casalesi, è stato condannato a 30 anni come già deciso in primo grado. La corte d’appello ha deciso di non modificare tale sentenza.
Antonio Iovine, che oggi collabora con la giustizia, ha mantenuto la condanna a 10 anni e 8 mesi ricevuta tre anni fa. Il suo ruolo nel clan era stato cruciale sia nel passato criminale sia nelle rivelazioni successive che hanno contribuito a far luce su diversi episodi irrisolti. La permanenza delle pene per queste due figure indica che la corte ha valutato sufficienti le prove a loro carico, nonostante i numerosi anni trascorsi e le difficoltà investigative.
Gli esiti del processo sono emblematici di come il sistema giudiziario continui a confrontarsi con la complessità delle organizzazioni mafiose, dove ruoli e responsabilità si intrecciano in modo difficile da disgregare. Le sentenze rappresentano comunque un passaggio importante nel percorso di contrasto alla criminalità organizzata in Campania.