La chiusura delle U.C.C.P. attive in provincia di Teramo provoca una brusca riduzione dei servizi territoriali. Intanto, i lavori per le nuove “Case di Comunità”, previste dal decreto nazionale, procedono a rilento senza strutture pronte. Medici e personale restano senza contratto, mentre l’utenza rischia di dover rivolgersi agli ospedali, già sovraccarichi.
La riforma delle cure primarie con il decreto ministeriale 77/2022 e l’attesa delle case di comunità
Il decreto ministeriale 77/2022 stabilisce nuovi standard per rimodellare l’assistenza sanitaria di prossimità nel Servizio Sanitario Nazionale. L’obiettivo è creare strutture denominate “Case di Comunità” per offrire una serie di servizi fondamentali: assistenza primaria, specialistica ambulatoriale, cure domiciliari, servizi infermieristici, prenotazioni e il raccordo con i servizi sociali. Questi presidi dovrebbero anche favorire la partecipazione delle comunità locali.
In Abruzzo, come in altre regioni, le Aziende Sanitarie Locali hanno iniziato a ristrutturare le strutture esistenti sfruttando i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. A marzo 2025 si contavano 23 cantieri attivi per realizzare le Case di Comunità nelle varie province, stando a quanto dichiarato dall’assessore regionale Nicoletta Verì. L’intento è garantire una rete sanitaria territoriale più capillare e vicina ai bisogni dei cittadini.
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La definizione di queste nuove strutture comporta una riorganizzazione profonda della rete. Tuttavia non sembrano esserci certezze sulle tempistiche e la piena operatività delle Case di Comunità, specialmente a Teramo, dove il percorso appare rallentato. Fino a quando i nuovi centri non saranno attivi, restano indispensabili gli attuali presidi territoriali.
La chiusura improvvisa delle uccp di teramo e i rischi per il personale e per i pazienti
La ASL di Teramo ha deciso di chiudere quattro U.C.C.P. operative a Teramo, Villa Rosa, Montorio e Sant’Egidio alla Vibrata, una mossa che ha provocato l’allontanamento di numerosi medici e del personale sanitario e amministrativo. Le U.C.C.P. fino a ora hanno garantito servizi essenziali di assistenza primaria, molto simili a quelli previsti nelle Case di Comunità. Sono sedi operative dal 2012 e hanno sopportato la pressione della pandemia sostenendo la comunità anche con il personale definito “eroi del Covid”.
La chiusura è avvenuta in mancanza di nuove strutture operative e di un’adeguata proroga degli accordi con i medici di base, che sono stati chiamati a sottoscrivere unilateralmente un nuovo contratto integrativo imposto senza consultare i sindacati come la FIMMG. Troppi medici hanno rifiutato un accordo peggiorativo per le condizioni lavorative, causando il blocco del servizio ai livelli precedenti.
Sul fronte dei lavoratori infermieristici e amministrativi, sono coinvolti 57 addetti inquadrati da cooperative esterne. Questi operatori rischiano di perdere il lavoro o di subire tagli ai contributi a causa di questa riorganizzazione senza progettualità concreta. Questi effetti stanno mettendo a rischio la continuità dell’assistenza sul territorio.
Il risultato è un danno all’utenza che si vedrà costretta, dal primo settembre 2025, a ridurre drasticamente l’accesso alle cure nelle U.C.C.P., con la necessità di rivolgersi ai pronto soccorso o agli ospedali, già sovraccarichi e con problemi da anni per la carenza di personale e risorse.
Le case di comunità in Abruzzo: Lentezze, scadenze in bilico e scarsi servizi attivi
La Regione Abruzzo prevede la realizzazione di 40 Case di Comunità, ma a metà 2025 solo una struttura a Casoli risulta completamente operativa. Altri 15 progetti sono avviati ma fermi nella fase operativa, mentre 24 restano ancora senza alcun sviluppo concreto. In provincia di Teramo la struttura a Montorio al Vomano sembra quella più avanzata nei lavori, ma è soltanto un punto tra otto previsti.
I finanziamenti legati al PNRR impongono il completamento di tutte queste case entro marzo 2026. Tuttavia è alto il rischio che i tempi non vengano rispettati, considerata la lentezza mostrata finora. Nel frattempo, il territorio si trova senza i presidi sanitari attuali, chiusi o in via di chiusura, e senza sostituti pronti all’uso.
La mancanza di nuove Case di Comunità colpisce soprattutto le persone più fragili: anziani, malati cronici, chi ha difficoltà a spostarsi verso gli ospedali più grandi. Questi presidi non solo garantiscono prestazioni basilari come medicazioni, prelievi e controlli, ma alleggeriscono anche la pressione sui pronto soccorso e sui reparti ospedalieri.
L’impatto sulle comunità e le richieste all’Asl Teramo
La sospensione delle attività delle quattro U.C.C.P. in provincia genera una situazione di disagio per la popolazione. La riduzione di accesso ai servizi sanitari di base rischia di infrangere il diritto alla salute, diritto sancito dalla Costituzione italiana, specie per chi vive in zone con trasporti limitati o difficoltà economiche.
Le strutture territoriali rappresentano un primo filtro necessario per evitare che gli ospedali si trovino a gestire casi che potrebbero essere risolti a livello locale. La loro chiusura senza un’alternativa pronta crea un vuoto assistenziale molto pericoloso in un momento in cui la sanità pubblica fatica a garantire risposte rapide.
L’Associazione di Base dei Consumatori A.Ba.Co. Abruzzo contesta apertamente questa scelta della ASL Teramo, definendola priva di razionalità e motivata solo da risparmi economici irrisori a discapito di medici, infermieri, amministrativi e utenti. Le richieste si concentrano sulla necessità di riattivare subito servizi adeguati prima dell’avvio delle Case di Comunità, evitando disagi irreparabili alla popolazione.
La situazione nel Teramano riflette più in generale le problematiche di un sistema che procede a riforme importanti senza garantire continuità, ma soprattutto senza rispettare i tempi per nuovi investimenti in strutture e personale. Da qui a marzo 2026 sarà fondamentale monitorare l’evoluzione e la disponibilità di servizi sanitari di base.