Un uomo di 40 anni, di origine tunisina, è stato arrestato a Torino con l’accusa di aver pianificato un attentato terroristico in Italia subito dopo essere uscito dal carcere, dove era già detenuto. L’operazione, condotta da Digos e Nucleo investigativo penitenziario, ha fatto emergere un caso di radicalizzazione all’interno del sistema carcerario italiano.
Blitz a Torino: i dettagli dell’Operazione Shaytan
L’arresto è scattato nell’ambito dell’operazione chiamata Shaytan, frutto della collaborazione tra la Digos di Torino e il Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria. La Direzione centrale della polizia di prevenzione ha coordinato tutto l’intervento, che si è svolto interamente dentro il carcere. L’uomo, già in prigione, è stato messo di nuovo in custodia cautelare dopo che le indagini hanno confermato la sua pericolosità. All’operazione ha partecipato anche il nucleo regionale della polizia penitenziaria, che ha fornito supporto operativo durante il monitoraggio e l’arresto.
Le modalità dell’azione mostrano come l’attività investigativa si sia concentrata soprattutto sulle dinamiche interne alle mura carcerarie, terreno fertile per la diffusione di idee estremiste. L’operazione sottolinea l’attenzione crescente delle forze dell’ordine verso la radicalizzazione tra i detenuti, con interventi mirati a prevenire eventuali azioni terroristiche una volta fuori dal carcere.
L’indagato e la sua propaganda jihadista
Secondo gli accertamenti della Procura di Torino, l’uomo era in Italia da più di dieci anni, ma con un’identità falsa. Durante la detenzione, ha promosso gli insegnamenti di Osama Bin Laden e Al Qaeda, dichiarandosi pronto a sacrificare la propria vita per l’Islam. Le forze dell’ordine hanno scoperto che stava preparando un attacco terroristico da mettere in atto subito dopo la scarcerazione, una minaccia concreta e imminente.
Il tunisino avrebbe avuto un’influenza diretta su altri detenuti, facendo proselitismo attraverso canti di propaganda islamista, racconti mistici e citazioni religiose. Diverse testimonianze raccolte durante l’inchiesta mostrano come spingesse i compagni di cella verso l’ideologia jihadista, incoraggiandoli a seguire la sua causa. In particolare, ha esaltato gli attacchi dello Stato islamico in Europa, parlando apertamente dell’uso delle armi per imporre la Sharia, vista come l’unica legge valida, anche a costo del martirio.
Radicalizzazione in carcere: cosa emerge e come si interviene
L’arresto a Torino è un esempio concreto di come la radicalizzazione islamista stia prendendo piede all’interno delle carceri italiane. Gli inquirenti hanno sottolineato che la detenzione non sempre frena questo fenomeno, anzi in certi casi lo alimenta, mettendo a contatto detenuti vulnerabili con soggetti decisi a diffondere idee estremiste. Questo caso evidenzia la capacità di alcuni di usare linguaggi simbolici, rituali religiosi e riferimenti storici per reclutare nuovi seguaci.
L’operazione Shaytan fa parte di una strategia più ampia per prevenire il terrorismo, con l’obiettivo di monitorare e isolare i detenuti più pericolosi, soprattutto quelli legati o simpatizzanti di gruppi come Al Qaeda e lo Stato islamico. Le autorità tengono sotto stretto controllo questi soggetti, cercando di fermare ogni tentativo di proselitismo o di pianificazione di azioni violente durante la detenzione. L’intervento dimostra quanto sia importante il coordinamento tra forze dell’ordine e polizia penitenziaria per reagire in fretta a queste minacce.
Il caso del tunisino arrestato a Torino conferma la necessità di restare vigili sulle dinamiche dentro le carceri, dove tensioni ideologiche possono trasformarsi rapidamente in piani terroristici concreti. Le forze dell’ordine continuano a lavorare per individuare e neutralizzare ogni segnale di pericolo, garantendo così la sicurezza di tutti.