La storia di Angelo Gaja rappresenta un capitolo importante del panorama enologico italiano, con riflessioni centrate su tradizione, territorio e cambiamenti del settore. Nel corso di un incontro a Confindustria, il produttore di vino ha raccontato episodi della sua infanzia e della famiglia, affrontando temi come l’identità dei vini piemontesi e toscani, le sfide delle piccole cantine e le conseguenze del turismo per l’enogastronomia locale.
Una memoria d’infanzia all’origine della passione
Angelo Gaja ha condiviso un ricordo d’infanzia molto significativo che risale a quando aveva 22 anni. Durante un pranzo alla Certosa di Pavia seduto a tavola con due personaggi illustri come Veronelli e Gianni Brera, si è consumato uno scambio intrigante sul vino e le sue origini. Gaja ricorda come, mentre venivano serviti vini toscani con marchi nobiliari, suo padre si mostrava difensore del valore delle produzioni senza la necessità di tale titolo. Brera allora rassicurò dicendo che, dal punto di vista nobiliare, la famiglia Gaja apparteneva alla vasta cerchia dei “prìncipi Della Zolla”, nome che Angelo ha fatto proprio con orgoglio.
Insegnamenti dalla nonna francese
Nel suo racconto, il produttore ha sottolineato il profondo legame con due figure fondamentali della sua crescita. La nonna, nata in Francia, ha avuto un ruolo decisivo nella sua formazione, impartendogli una lezione che aveva quattro punti: fare, saper fare, saper far fare e far sapere. Questi insegnamenti, secondo Gaja, sono fondamentali per chiunque voglia diventare artigiano, ovvero per chi vuole eccellere nel proprio mestiere.
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L’evoluzione del rapporto con il vino da bambino
Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, il legame tra Angelo Gaja e il vino non fu immediato. Ha confessato che da piccolo, quando il vino è entrato in contatto con il suo palato, ne provò insofferenza. Solo intorno ai 14 anni, cominciò a sviluppare un apprezzamento più consapevole, associando il gusto del vino a quello del cibo. Questo percorso personale racconta un’esperienza non solo di affermazione familiare ma anche di maturazione individuale.
Durante l’assemblea, Gaja ha spiegato come la sua evoluzione nel rapporto con il vino rappresentasse un cammino verso la comprensione del valore di una bevanda che è parte integrante della cultura italiana, specialmente in Piemonte. L’amore per il vino è nato gradualmente, accompagnato da un accompagnamento familiare che puntava verso l’eccellenza nella produzione e nella diffusione.
Differenze tra vini toscani e piemontesi
Angelo Gaja ha affrontato la questione della diversità tra i vini toscani e quelli delle Langhe, offrendo un punto di vista pragmatico. Ha descritto i produttori toscani come più liberi nelle loro sperimentazioni, mentre i piemontesi, e in particolare quelli delle Langhe, seguono disciplinari più rigidi, con un approccio più tecnico e preciso.
Secondo Gaja, entrambi questi approcci hanno avuto un ruolo nella crescita complessiva del vino italiano. Ha sottolineato che le prime 125 cantine rappresentano la larga parte del fatturato del settore, mentre al tempo stesso emerge un’enorme quantità di piccole aziende – circa 31 mila – che contribuiscono meno economicamente ma hanno un ruolo importante nella diversità produttiva. Per queste piccole imprese, secondo il produttore, sarebbe controproducente aumentare la burocrazia attorno a loro, piuttosto è necessario lasciare loro spazio per operare e crescere.
Riflessioni sul turismo di massa e il territorio
Uno dei temi più discussi da Angelo Gaja riguarda il turismo, in particolare quello legato al vino e alle manifestazioni come festival o eventi di richiamo enogastronomico. Ha evidenziato come il turismo rappresenti un’attività dalle due facce: porta vantaggi economici ma crea anche disagi. Ha citato la manifestazione Vinum ad Alba, dove si è organizzata la più grande enoteca a cielo aperto in Italia, con strade chiuse al traffico e ingresso a pagamento.
Dal suo punto di vista, questo tipo di iniziativa è intelligente nel cercare di valorizzare il territorio, anche se personalmente non ha mai sperimentato lo street food della Langa offerto durante l’evento. Ha poi fatto notare come ogni volta che si impedisce l’uso del suolo pubblico per eventi, soprattutto nei giorni di festa, questo spazio dovrebbe essere pagato e destinato a fini benefici, e non solo come introito per l’amministrazione comunale.
Nuove modalità per accogliere i turisti
Angelo Gaja ha indicato che la gestione del turismo deve adattarsi ai cambiamenti nelle modalità di viaggio. In futuro saranno sempre più numerosi i turisti “veloci” e “low cost” che preferiranno luoghi comodamente raggiungibili e panoramici, spesso con la finalità di scattare foto per i social. Vietare l’ingresso alle città più famose non è la soluzione.
Per questo ha suggerito di distribuire meglio i flussi turistici, evitando la concentrazione solo nei centri storici. Sarebbe necessario valorizzare anche altri luoghi, magari meno noti ma ugualmente interessanti. Diffondere le informazioni sui monumenti, le iniziative e i piccoli tesori fuori dai circuiti più affollati servirebbe a creare un turismo più sostenibile e meno invasivo, senza ridurre l’accessibilità. Gaja lascia così aperta la possibilità di gestire il patrimonio culturale e enogastronomico italiano senza compromettere la qualità della vita delle comunità locali.