Adrien Brody, celebre attore noto per la sua carriera stellare, si trova ancora una volta a contendersi un Oscar. Questa volta, il suo lavoro in “The Brutalist” lo riporta sotto i riflettori, con la serpentina corsa verso la cerimonia dei premi che si avvicina rapidamente. La pellicola, diretta da Brady Corbet, e regista che ha già ricevuto riconoscimenti a Venezia, racconta la vita di un architetto ebreo ungherese sopravvissuto all’Olocausto, moglie dell’appassionante tema dell’immigrazione e della ricerca della propria identità.
Un grande ritorno per Adrien Brody
Nel panorama cinematografico, il 2003 è stato un anno memorabile per Adrien Brody, quando, all’età di 29 anni, ha fatto storia diventando il più giovane attore a ricevere l’Oscar come miglior protagonista con “Il Pianista” di Roman Polanski. Oggi, con “The Brutalist”, Brody sembra ripetersi in quella magica corsa, tornando a essere un nome di punta anche per il Golden Globe. La pellicola dura ben 3 ore e 35 minuti, un’avventura cinematografica accompagnata dalle musicalità di Daniel Blumberg e girata in formato 70 mm, dimostrando il grande impegno e la visione artistica del regista.
La trama segue le vicende di László Tóth, un architetto costretto a fuggire dagli orrori del suo passato e ricostruire la propria vita in America. Qui, la sua carriera prende una piega inaspettata quando riceve una proposta da un magnate immobiliare interpretato da Guy Pearce. La dimensione dell’immigrazione si fa centrale, non solo come sfondo, ma come esperienza personale, tanto per il personaggio quanto per l’attore stesso, cui storia si intreccia con i temi della pellicola.
Il legame personale con il tema dell’immigrazione
Brody ha affrontato l’importanza di raccontare storie di immigrati, richiamando alla memoria le esperienze della sua stessa famiglia. “Mia madre, la fotografa Sylvia Plachy, è immigrata negli Stati Uniti negli anni ’50 insieme ai suoi genitori. Fuggirono da Budapest durante la rivolta ungherese e si trasferirono a New York per ricominciare,” ha rivelato l’attore durante una conferenza della Critics Choice Association a Los Angeles. La sua narrazione personale diventa parte integrante della trama, riflettendo gli sforzi e gli ostacoli che la sua famiglia ha dovuto affrontare. La resilienza e il sacrificio diventano temi centrali, non solo nella vita del protagonista, ma anche nell’eredità familiare di Brody.
Nel contesto del film, il personaggio di László Tóth rappresenta un ideale, un simbolo di quanto molti immigrati realizzarono portando con sé il proprio bagaglio culturale, anche se spesso le loro storie rimasero nell’ombra, non raccontate. Brody sottolinea la necessità di narrare queste vicende per dare voce a chi ha subito il peso dell’intolleranza.
La complessità del sogno americano
Affrontando l’architettura, il film esplora un tema ricorrente nella storia degli immigrati e nella costruzione dell’America moderna. La corrente architettonica a cui si riferisce il titolo del film è dovuta proprio agli artisti e ai creativi fuggiti dall’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, i quali hanno contribuito a definire il paesaggio urbano americano. “Questi edifici echeggiano il desiderio di essere visti, ma le loro storie sono spesso celate, complice un’umanità che fatica ad accettare l’altro,” spiega Brody.
La pellicola si occupa di come gli immigrati, pur integrandosi nella società, affrontano spesso un senso di estraneità. “È incredibilmente doloroso lasciare ciò che si conosce e iniziare da capo. Sentirsi invisibili o non all’altezza rende tutto ancora più complicato,” sottolinea l’attore. La questione identitaria si tramuta in un tema universale che abbraccia la bellezza dell’arte, del cinema e del racconto, con l’idea potente che il diavolo si nasconde nei dettagli delle vite quotidiane e nel diritto di ogni persona di essere ascoltata.
Brody conclude parlando della responsabilità del cinema di radunare le persone, di raccontare storie che possano aprire gli occhi su un passato e un presente ricco di sfide. “Il cinema ha la capacità di unirci, farci riflettere sulla nostra umanità e sulla necessità di vigilare contro l’intolleranza,” rimarca lui, confermando il suo fermo impegno nei confronti della narrazione e della memoria.
Ultimo aggiornamento il 4 Gennaio 2025 da Elisabetta Cina